Digital News Report 2023 dentro ai numeri
Qualche giorno fa – come avevamo anticipato – è stato presentato il Digital News Report 2023, ultimo rapporto del Reuters Institute of Journalism di Oxford. Il Digital News Report analizza l’evoluzione del giornalismo alla luce delle nuove sfide e delle opportunità offerte dal web e dal digitale. È consultabile e scaricabile qui ma per semplicità riassumiamo di seguito alcuni punti numeri chiave emersi da questa edizione.
Tanto per cominciare, lo studio, giunto alla sua dodicesima edizione, certifica un calo mondiale della fiducia nei media. Nel mondo oltre un terzo degli abbonati alle news online (il 39%) ha annullato o rinegoziato i propri abbonamenti. Solo il 17% paga in media per le notizie. Come riporta anche Fnsi, secondo l’analisi condotta in 46 Paesi Il 56% degli utenti afferma di essere preoccupato perché non riesce a distinguere la differenza tra notizie reali e false su Internet. E c’è scetticismo sull’uso degli algoritmi per la selezione delle news attraverso i motori di ricerca, i social media e altre piattaforme online. Chi dice di utilizzare principalmente i social media come fonte di notizie è molto più preoccupato dalla disinformazione (64%) di chi non li usa affatto (50%).
Come riporta la newsletter del Master di Giornalismo, le piattaforme social sono cambiate. Facebook sta diventando molto meno importante come fonte di notizie. Solo il 28% ha detto di aver avuto accesso alle notizie tramite Facebook nel 2023; nel 2016, questa percentuale era il 42%. Questo calo si giustifica in parte a causa della popolarità delle piattaforme video come YouTube e TikTok che stanno catturando l’attenzione dei più giovani. L’uso di Twitter per le notizie è rimasto invariato dopo l’acquisto di Elon Musk, e l’uso di Mastodon è molto basso. I podcast di notizie continuano a interessare il pubblico istruito e più giovane. Circa un terzo (34%) delle persone da un gruppo di 20 paesi accede a un podcast mensilmente, ma solo il 12% accede a un programma sulle notizie e l’attualità. In Italia, questa percentuale è ancora più bassa (10%).