Premio Morrione: non crediamo nella notizia gridata ma in quella accurata
In autunno uscirà il nuovo bando del Premio Morrione per il giornalismo investigativo in concomitanza con la premiazione delle inchieste in corso. Sarà una tre giorni di iniziative, dibattiti, conferenze, seminari e dibattiti sul tema del giornalismo di inchiesta a 360 gradi e sulle cinque inchieste in corso per il premio. Ne abbiamo parlato con Mara Filippi Morrione, portavoce del Premio e membro della giuria, facendo con lei un punto su come è cambiata in questi anni la professione: «Noi da sempre – ci ha detto – cerchiamo di fornire un’esperienza completa, offrendo tutti gli aspetti necessari per arrivare in fondo all’inchiesta, anche grazie al supporto dei tutor nei vari ambiti: podcast, video, giornalismo multimediale, web. Tra le altre agevolazioni che hanno i partecipanti vi è l’accesso alle Teche Rai, che sono una vera e propria risorsa, e ovviamente un tutor legale, trattando temi spesso delicati e non mainstream».
«Molto spesso – continua – per le inchieste proponiamo soggetti che non siano ancora arrivati all’attenzione del grande pubblico; l’anno scorso per esempio ne abbiamo avuta una sul Pnrr che ora ci viene chiesta da tutta Italia, perché le amministrazioni si stanno confrontando con un problema attuale, ovvero quello di evitare la criminalità organizzata, in agguato in tutti i Comuni».
«La scelta dei temi – prosegue – nasce da lunghe discussioni all’intento della giuria, valutando argomenti non già battuti ma anche che siano realizzabili, quindi cercando di fare una valutazione quanto più possibile dettagliata e supportata da prove. Questo lavoro è la dimostrazione di come un giornalista sia difficilmente sostituibile da un’intelligenza artificiale, per fiuto e sensibilità».
«Non c’è un target preciso di partecipanti. Quest’anno hanno partecipato al bando in quasi 1300 persone, con 760 soggetti di inchiesta proposti e 108 finalisti selezionati, di cui il 60% donne. Devo dire che le donne hanno quasi sempre avuto preponderanza, anche se di poco, e anche l’edizione di quest’anno rispecchia le edizioni precedenti nei numeri».
«Quest’anno c’è stata una preponderanza di temi ambientali, che può voler dire inquinamento, traffico di materiali elettrici, materiali altamente inquinanti, quindi c’è stata una sensibilità ambientale importante, ma anche il tema immigrati e la criminalità organizzata nelle sue varie forme sono stati battuti. Quello che cerchiamo di fare è far sì che le inchieste non abbiano attinenza solo con un tema italiano ma abbiano un’attenzione all’Europa, anche perché sempre più spesso i partecipanti studiano in Europa o hanno fatto esperienza all’estero. Nel tempo abbiamo sempre di più abbassato l’età dei partecipanti. Siamo partiti da 35 anni, ma nel tempo ci siamo accorti che sono sempre più bravi e con un grande bagaglio di esperienza gli under 30».
«Oggi c’è una tale quantità di possibilità tecnologiche, di dati, c’è la sfida dell’intelligenza artificiale, per cui questi giovani autori si specializzano in qualcosa, poi fanno molta rete tra di loro. Una volta il giornalista era più solitario, si girava con un solo operatore, mentre ora c’è bisogno di esperienza e specializzazione e spesso si creano consorzi di colleghi, che insieme hanno anche più potere contrattuale con gli editori».
«In Italia va ancora poco il modello del web doc, all’estero va di più; credo dipenda da una lettura più complessa dei dati con i grafici. In Italia invece sono migliori i numeri che riguardano i podcast per esempio. Quello che è certo è che non crediamo nella notizia gridata, ma nell’inchiesta che lavora sul lungo periodo e trova il suo ascoltatore nel tempo, con una persona che ragiona su quella che è una notizia accurata, verificata, nella quale trovare un punto di riferimento per essere informati, per crescere e fidelizzare il lettore».
«Il giornalismo sta cambiando – conclude -. Non ci sono più i vecchi contratti dei giornalisti e degli autori di un tempo e nemmeno più le redazioni di un tempo. Abbiamo fatto un’inchiesta interna sui partecipanti del premio per capire che fine hanno fatto dopo le inchieste. Il prospetto emerso è che il premio sia servito per allargare la rete di conoscenze, contatti e relazioni, ma per sbarcare il lunario spesso fanno consorzi, si mettono in rete e fanno squadra, per essere coesi e propositivi nei confronti di un editore ed essere più strutturati. E spesso finiscono per lavorare all’estero, dove sono più considerati».
Eugenio Giannetta