Morto mons. Luigi Bettazzi, il prete comunicatore
Si è spento il vescovo emerito di Ivrea, per oltre quarant’anni iscritto all’Ordine dei giornalisti
Si è spento serenamente nella sua casa studio all’interno del castello di Albiano accudito dagli amici, la chiesa di Ivrea con il suo pastore Edoardo Cerrato e gli ospiti che sono stati i suoi coinquilini nella struttura: famiglie in difficoltà, gruppi di volontariato internazionale, donne e uomini, giovani e adulti di tutte le età e le origini. E’ stata talmente lunga e ricca di realtà belle, di tante gioie e altrettanti dolori la vita di mons. Luigi Bettazzi che sarebbe impossibile in poche righe raccontarle tutte. Mons. Bettazzi classe 1923 si è fermato sul traguardo dei cento anni, ma prima dell’ultimo chilometro quasi a significare che in fondo aveva dato tutto se stesso al mondo e alla vita per potersi accomiatare con discrezione. Mons. Luigi Bettazzi è ricordato come il vescovo della pace, del Concilio, cui arrivò giovanissimo, del dialogo e dell’apertura di quella chiesa in uscita poi riproposta mezzo secolo dopo il Vaticano II dal papa venuto dalla fine del mondo, l’argentino Bergoglio. Mons. Bettazzi è stato anche un grande comunicatore, un prolifico produttore di saggi, libri, testi, articoli e poi attore protagonista di documentari, inchieste e interviste. Mai si è sottratto alle telecamere e ai taccuini memore della sua passione per le lettere e la scrittura alimentati negli anni dell’assistenza della Fuci a Bologna e poi come collaboratore di un grande vescovo come il cardinale Lercaro sempre nel capoluogo emiliano.
Era sempre molto rigoroso nell’esprimere i suoi concetti, rileggeva le bozze e le faceva confrontare ai suoi più fidati collaboratori prima di dare alle stampe un suo libro. Non gli mancavano coraggio e ironia a mons. Bettazzi quando raccontava il Concilio si illuminava e non disdegnava di riproporre piccoli aneddoti, momenti di ilarità cui si accompagnavano dotte e fini riflessioni teologiche. L’uomo e la donna al centro della vita cristiana, la loro dignità, unicità, irripetibilità sono la cifra di un uomo di Dio e della storia. Incarnazione nella dimensione cristiana, impegno in quella civile. Le lotte dei lavoratori della Fiat e dell’Olivetti post Camillo e Adriano avevano la stessa forte e decisa solidarietà del vescovo di Ivrea città laboratorio di quelle dei campesinos latinoamericani o delle favelas di Nairobi. La sua voce contro la guerra e contro ogni forma di violenza non ha mai avuto cedimenti per tutti gli anni della maturità fino a quando si è spenta: dal Vietnam, al Medioriente, dalle guerre dimenticate africane, alla Siria, dai Balcani dove si recò più volte con il suo confratello più amato mons. Tonino Bello con Pax Christi, durante la terribile guerra nella ex Jugoslavia. Fino ad oggi contro i mercanti di morte le guerre in Ucraina e Siria, Yemen e Congo. Un solo grido di pace. Sempre più afono mentre sempre più sorti apparivano Stati, Organismi internazionali e movimenti. La sua cifra stilistica di cronista iscritto all’Ordine dei giornalisti per molti anni era la semplicità dei concetti espressi nonostante la profondità dei contenuti. L’ampiezza degli orizzonti che partivano dalla piccola Ivrea per raccontare il mondo. Un vescovo glocal molto prima della globalizzazione. Ha sostenuto per molti anni e collaborato con riflessioni coraggiose e puntuali il settimanale della diocesi “Il Risveglio Popolare” divenuto negli anni Settanta un riferimento come lo furono “La Voce del Popolo” di don Franco Peradotto, “L’Eco del Chisone” di don Vittorio Morero, “Il Nostro Tempo” di don Carlo Chiavazza e Il Popolo di Tortona di don Pier Giovanni Agnes. Preti e vescovi del Concilio in dialogo con il mondo.
Dagli anni Sessanta fino che ha potuto ha marciato per la pace, ha dialogato con tutti, religioni, culture, filosofie differenti, ha scritto negli anni Ottanta ai giovani chiedendoli perché fossero atei e a Berlinguer per avvicinare le culture materiali e spirituali. Se ne va un gigante verso il mistero cristiano e della morte, imperscrutabile dalle nostre fragili menti limitate, resta il suo pensiero e i suoi scritti, soprattutto l’amore che ha seminato.
Luca Rolandi