Premio Morrione, le parole dei cinque finalisti
Sabato 28 al Circolo dei Lettori un dibattito e confronto sul futuro del giornalismo investigativo partendo dall’esperienza del Premio Roberto Morrione per il giornalismo investigativo, con la presentazione delle cinque inchieste della 12° edizione del Premio, che avrà la sua conclusione sabato sera alle Ogr.
Le inchieste (qui i trailer) hanno investigato temi rilevanti per la vita politica, sociale, economica e culturale dell’Italia e dell’Europa, quali la tutela dell’ambiente, la legalità, i diritti umani e civili, lo sviluppo tecnologico, le attività economiche. Per la realizzazione sono stati utilizzati diversi linguaggi, da inchieste video a podcast, passando per forme più sperimentali.
Abbiamo intervistato i protagonisti a partire dai loro lavori, indagando presente, passato e futuro della professione, speranze e aspettative, difficoltà e ostacoli incontrati.
SEZIONE INCHIESTA MULTIMEDIALE
Petrolio Bianco, di Francesca Trinchini, tutor Lorenzo Di Pietro
«Il primo seme dell’idea è nato da una dichiarazione di Elon Musk sul litio. Mi ha fatto pensare a quelle risorse di cui avremo sempre più bisogno e ho scoperto che anche l’Italia è coinvolta in processi di transizioni green con dei chiaroscuri. Ho raccontato sei storie che poi finiscono per influenzarci a vicenda: da una parte sono storie di riconversione industriale, dall’altra che riguardano problemi come l’ambiente, la sicurezza dei lavoratori, il rispetto delle normative europee. Sono al tempo stesso anche storie di persone che vivono un paradosso come quello, in alcuni casi, di dover salvare l’ambiente riaprendo una miniera. Sono storie di compromessi. È stato il mio primo grande progetto come giornalista e sono stata sorpresa della selezione, perché non ho pubblicazioni su riviste prestigiose, né ho fatto scuole di giornalismo, per cui credo che a essere premiata sia stata la mia idea. Nel portare avanti questo progetto sono uscita con coraggio fuori dalla mia zona di comfort, perché sono sempre stata una giornalista da carta stampata, invece qui mi sono cimentata con piacere con macchina fotografica e microfoni. Per il futuro sto per iniziare un Master in Comunicazione e Giornalismo Scientifico a Trieste, perché questo lavoro mi ha portato a esplorare anche molti centro di ricerca e ad avere a che fare con nuove le nuove tecnologie dietro alle rinnovabili. Provengo da una formazione umanistica ma credo che il giornalismo e questo Master possano aiutarmi a creare un ponte con la scienza e la divulgazione».
SEZIONE INCHIESTA PODCAST
Case per finta, di Susanna Rugghia e Federica Tessari, tutor Daria Corrias
«Questa inchiesta – spiega Federica Tessari – nasce in modo sperimentale. Io e Susanna ci conosciamo da molto tempo e abbiamo lavorato a più progetti insieme, ma mai nel formato podcast in cui non ci eravamo mai sperimentate prima. Per farlo ci siamo approcciate con curiosità un tema nuovo, ovvero le collab-house italiane, un luogo di lusso dove le giovani star della creator economy vivono insieme e dove tutto è pensato come un set per la produzione di contenuti. È un fenomeno nato in America che però sta arrivando in Italia. Abbiamo cercato di indagare che impatto hanno o potrebbero avere sula salute mentale, soprattutto sui minori. Ci siamo concentrati su una di queste in particolare perché siamo riusciti ad avere interviste e ad entrare, ma soprattutto abbiamo provato a riflettere su cosa accade in queste case, su come si inizia e su come si viene inseriti in queste realtà di produzione continua di contenuti, a volte senza nemmeno avere percorsi scolastici terminati. Con Susanna ci conosciamo da tempo e abbiamo collaborato anche in passato su progetti editoriali e di comunità, io occupandomi di processi migratori e contesti sociali, così come dei temi sulla salute mentale, mentre lei occupandosi spesso di questioni urbane, diritto all’abitazione e tutto ciò che riguarda il fenomeno di si evolve la città. Il formato podcast per quanto inesperte ci è piaciuto e ci ha fatto venire voglia di approfondirne la formazione, sia tecnica che di scrittura».
SEZIONE VIDEO INCHIESTA
Brucia la Terra, di Youssef Hassan Holgado e Tommaso Panza, tutor Enzo Nucci
«L’idea è nata nell’agosto 2021 – ci spiega Youssef Hassan Holgado – quando il comune di Foggia è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. La domanda di partenza è stata: cosa accade in un posto abbandonato dallo Stato con commercianti vittime di estorsioni e clan riposizionati per colmare i vuoti degli arresti? A differenza del mio lavoro con Domani dove tendenzialmente scrivo, mi sono cimentato con una video-inchiesta; è stato un lavoro importante con alcune testimonianze di usura, di vittime di mafia e che restituisce un quadro politico e sociale di Foggia. Su Domani avevo già lavorato a questi temi anche grazie all’aiuto di colleghi più esperti ma non avevo mai affrontato la modalità video. Credo sia molto più complicato lavorare attraverso le immagini, ma indubbiamente è stata un’esperienza importante e abbiamo avuto l’aiuto e il sostegno adeguato in ogni passo».
SEZIONE VIDEO INCHIESTA
Chi li ascolterà?, di Selena Frasson e Claudio Rosa, tutor Pietro Suber
«Abbiamo iniziato a lavorare su questo progetto – ci spiega Selena Frasson – quando siamo venuti a conoscenza di quello che era accaduto al Cesare Beccaria di Milano nella notte del 7 agosto 2022, quando tre giovani detenuti sorprendono nel sonno un compagno di cella e per diverse ore lo sottopongono a violenze e torture senza l’intervento di nessuno. Pochi mesi dopo avviene un’evasione di sette ragazzi che sfruttano i lavori di ristrutturazione infiniti e mai portati a termine; siamo partiti da questi episodi di cronaca e la domanda che ci siamo posti è stata quella del titolo: chi li ascolterà? Abbiamo sottolineato un difetto negli ingranaggi, una carenza di personale, una carenze di strutture e situazione troppo spesso e a lungo sottovalutate, dove non vengono garantiti alcuni diritti fondamentali. Un luogo dove vige la regola del silenzio e c’è difficoltà a denunciare. Questo silenzio non non vige solo dentro ma fuori dal carcere. La difficoltà più grande per noi è stata quella di rompere il muro di diffidenza con i ragazzi, ma anche con chi si occupa di loro, che spesso assume un atteggiamento quasi di rassegnazione, forse per paura di fallire e non dare risposte. Il problema è che questo atteggiamento spesso va a discapito di chi si trova in situazioni di vulnerabilità, con ragazzi che hanno un passato difficile, sono soli, senza famiglie alle spalle e spesso senza strutture di supporto. Per fare tutto ciò ci siamo interfacciati non solo con la parte istituzionale, ma abbiamo provato ad ascoltare e abbiamo cercato di conoscere le storie per entrare in contatto con la realtà di questi ragazzi, abbiamo trascorso del tempo con loro in una comunità di Milano e abbiamo scoperto che non esistono ragazzi cattivi, ma storie difficili. Vorrei dire che la nostra, in fondo, è la storia di un fallimento, il fallimento di un sistema che per rispondere alle emergenze dimentica di agire sul piano della prevenzione, su quello dell’educazione. Questo lavoro, dunque, per noi vuole essere un inizio per dare spazio a chi si è rassegnato a stare ai margini. Io arrivo da Giurisprudenza e sono sempre stata interessata a questi temi di giustizia, soprattutto alla giustizia sociale, per cui mi auspico di continuare a lavorare in questo campo illuminando le zone d’ombra della società».
SEZIONE VIDEO INCHIESTA
La propaganda del gas, di Teresa di Mauro, Vittoria Torsello e Lorenzo Urzia, tutor Raffaella Pusceddu
L’ultimo racconto è quello di Teresa di Mauro: «Vivevo a Praga con la mia collega Vittoria fino ad aprile; parlando con lei è venuto fuori il tema della TAP, soprattutto dopo l’invasione russa in Ucraina che ha spinto a diversificare le fonti energetiche e ad attingere maggiormente al gas azero. Io sono specializzata su Caucaso, Armenia, Azerbaigian. Ho sempre sempre tenuto d’occhio i rapporti di queste zone con l’Europa e con l’Italia. Con la guerra in Ucraina ci siamo rese conto che si erano di nuovo accesi i riflettori su quella zona. In questo contesto si parlava di TAP, ma sappiamo bene di cosa si tratta? Da lì è partito il nostro lavoro. Avendo un interesse per queste zone ho pensato che mi sarebbe piaciuto raccontarle come giornalista, infatti mi trasferirò a Tbilisi a metà novembre con l’idea di raccontarle ancora».