Bersani, Giulia Giornaliste: «Se non cambiamo il linguaggio non cambiamo la cultura»
Il 25 novembre quest’anno è durato e durerà più di un giorno soltanto, perché è scattato qualcosa, è cambiato qualcosa, a causa degli ultimi fatti di cronaca. È con questi presupposti che abbiamo intervistato Serena Bersani, nuova presidente dell’associazione Giulia Giornaliste.
Partiamo dal Manifesto di Venezia esposto nelle redazioni: «Non è un’iniziativa nostra, ma la sposiamo in pieno, mentre per quanto riguarda i progetti nostri che stiamo mettendo in campo – spiega Bersani – l’intenzione è quella di proseguire nel solco di chi ci ha preceduto. In questi dodici anni sono state fatte tante cose ed è anche cambiato l’atteggiamento dei colleghi nei corsi, che sono il nostro modo di farci sentire. Ad esempio è passato il concetto di utilizzare la parola femminicidio. Inizialmente alcuni colleghi dicevano che non aveva senso utilizzarla come parola, che era cacofonica, che c’era già la parola omicidio, ma la goccia ha scavato la pietra e ora è una parola di uso comune. Lo scopo di operazioni come questa e come quelle che portiamo avanti nei corsi è quello di far passare buone pratiche, perché se non riflettiamo, ci abituiamo a utilizzare certe espressioni e non cambiano mai la cultura, il rispetto e la correttezza di certe cose, che possono sfuggire».
A ottobre Giulia ha inaugurato un altro importante progetto da mandare avanti e cioè l’osservatorio su come i media comunichino i femminicidi, insieme con l’Università Sapienza: «La disponibilità dei ricercatori a lavorare su quello che succede da anni è enorme, c’è una grande consapevolezza raggiunta, anche grazie a iniziative come quelle dell’associazione cronisti di Roma e Milano. Il progetto è partito da poco ma presto avremo i primi risultati dei report e credo potranno emergere cose interessanti su come correggere la rotta in certe occasioni».
Sicuramente gli ultimi fatti hanno fatto riflettere sul ruolo dei social e della televisione, in particolare: «Riguardo allo stupro di Palermo riteniamo che approfittare della fragilità e spettacolarizzare eventi in modo morboso non sia deontologico».
Infine, un ultimo punto riguarda non solo l’osservazione dei media, ma chi i media li fa: «Continueremo – conclude Bersani – a lavorare sulle differenza retributive, sul gender gap, sulle direttrici dei quotidiani che sono ancora poche, ma anche su un fenomeno recente e inquietante nato da alcuni questionari che ha fatto emergere un MeToo in ambito giornalistico, con almeno due giornaliste su tre che hanno subito ricatti e avances».