Addio a Piero Barbè, decano dei giornalisti novaresi
E’ morto Piero Barbè, il decano dei giornalisti novaresi.
Si è spento martedì, intorno a mezzogiorno, nella sua abitazione di Novara. Aveva compiuto 99 anni il 1° febbraio scorso. Lascia la moglie Nuccia Clemente, la figlia Enrica con il marito Lorenzo e i nipoti Alberto ed Elisa.
Ecco il ricordo di Renato Ambiel.
Per sessant’anni, Barbè ha raccontato sui quotidiani la storia di Novara. Sosteneva che «giornalisti si nasce» così nella sua autobiografia. Lui giornalista è nato frequentando, da giovane studente delle Magistrali, la tipografia Miglio della Gazzetta di Novara. La sua prima collaborazione, nell’immediato dopoguerra, proprio per quel giornale. Approdato alla Gazzetta del Popolo, nel 1947, collaborò anche alla Rai e ad alcuni giornali milanesi. Passò poi a «La Stampa» nel 1950.
Nel 1971 con Giovanni Giovannini, fu tra i promotori delle pagine provinciali. In particolare, quelle di Novara e provincia, insieme a Vittoria Sincero. Pierino era solito ricordare, con orgoglio, il suo scoop nazionale con il «Caso Holohan». Il maggiore dei servizi segreti americani, paracadutato sul Mottarone con la «Missione Chrysler» e ucciso dai suoi stessi uomini. Avevano poi simulato un attacco nazifascista inabissando l’ufficiale nel lago d’Orta. Sondando alcuni ex partigiani del Cusio scoprì la verità che portò al recupero della salma nel lago.
Il 13 dicembre del 2017, a Torino aveva ricevuto dal presidente Alberto Sinigaglia un riconoscimento speciale per i 70 anni di iscrizione all’ordine.
Piero Barbè, non un giornalista per caso. Il ricordo di Gianfranco Quaglia
Si definiva “giornalista per caso” Piero Barbè di Novara. Così aveva scelto per il titolo del suo libro di memorie. In realtà “Il Piero”, anzi “Il Pierino” e – nelle occasioni importanti – “Il Cavaliere”, era cronista a tutto tondo, nato con il giornalismo nel sangue, il buon sangue fatto in una vecchia tipografia di famiglia, dove da ragazzo trascorreva i pomeriggi dopo la scuola. Qui apprese i primi rudimenti e con i caratteri di piombo inchiostrò anche il suo. Quando fu pronto si affacciò al mondo dell’informazione. Siamo nel primo dopoguerra. Piero Barbè approda in corso Valdocco a Torino, dove il direttore Massimo Caputo gli affida l’incarico di corrispondente da Novara della “Gazzetta del Popolo”: 5 lire a notizia e una per ogni riga pubblicata. Gli piace misurarsi con la £nera”, segue i delitti, si fa le ossa nelle aule di giustizia. Ma non disdegna la cronaca bianca. Viene inviato al seguito della principessa Margaret d’Inghilterra in visita sul Lago Maggiore. Tre anni dopo lascia la “Gazzetta” per assumere la corrispondenza del “Corriere della Sera” e soprattutto de “La Stampa”, chiamato dal mitico direttore Giulio De Bendetti: il giornale che lo consacrerà per il resto della professione. Agli inizi si mette in luce pe quello che a Piero piaceva definire uno “scoop”: il mistero della scomparsa del maggiore americano William Holohan, paracadutato dagli alleati nel 1944 sulle rive del Lago d’Orta per foraggiare la Resistenza. Il suo corpo sarà trovato in fondo al lago nel 1950 e per quel delitto saranno condannati due italiani che rapinarono l’ufficiale sottraendogli il denaro destinato ai partigiani. Poi, la svolta professionale agli inizi degli anni 70, quando La Stampa, con Giovanni Giovannini vicedirettore e futuro presidente della Federazione Editori, decide di dedicare un’edizione (la prima in Piemonte) a Novara e Verbano Cusio Ossola. Coordinatrice Vittoria Sincero, altra figura iconica del giornalismo piemontese scomparsa due anni fa, Piero Barbè diventa il responsabile della redazione di Novara. Il passo porterà il quotidiano ad essere più vicino ai lettori, segnando l’avvio di una trasformazione che sfocerà anni dopo nel decentramento vero e proprio delle edizioni dedicate a tutte le province.