Giornalismo italiano e britannico: «Fatti e opinioni separate»
Mercoledì 23 ottobre al Circolo della Stampa di Torino si è tenuta la consegna del Premio Pestelli, l’ambito riconoscimento alla miglior tesi di laurea europea sul giornalismo.
Il vincitore 2024 è stato Francesco Guidotti di Pontassieve (Firenze) con una tesi di laurea dal titolo Da Manchester al mondo: la lunga storia del Guardian, conseguita presso l’Università di Firenze. Inoltre sono state assegnate, come ogni anno, due menzioni speciali. Una a Giulia Arduino (Fossano, Cuneo) per la tesi Maffio Maffii, direttore de Il Corriere della Sera 1927-1929 presso l’Università di Torino. E una a Lorenzo Canicchio (Roma) per la tesi Il giornalismo locale che resiste alla crisi dell’informazione presso l’Università La Sapienza di Roma.
La consegna del Premio Pestelli è stata preceduta da un evento di formazione dei giornalisti, dedicato al confronto tra il giornalismo inglese e quello italiano. Hanno partecipano Mauro Forno (docente di storia contemporanea all’Università di Torino), Enrico Franceschini (corrispondente de La Repubblica in collegamento da Londra), Gualberto Ranieri (già corrispondente Rai dalla Gran Bretagna) e Donald Sasson (storico), moderati da Giorgio Levi (giornalista e presidente del Centro Studi sul giornalismo Pestelli).
Ad aprire il dibattito è proprio Giorgio Levi: «Ho chiesto all’AI di farmi un confronto tra giornalismo italiano e britannico. Mi ha snocciolato una serie di dati, poi mi ha fatto una conclusione: in sintesi il giornalismo inglese tende a essere maggiormente separato tra fatti e opinioni. Il giornalismo italiano ha maggiore connessione tra media e politica. Entrambi i sistemi affrontano sfide comuni ma con peculiarità uniche che rispettano la storia di ciascun Paese. Siete d’accordo?».
Così Gualberto Ranieri: «Sì, credo ci sia una maggiore tendenza a separare i fatti dalle opinioni. In una redazione fanno capo le notizie, nell’altra le opinioni e gli editoriali, e sono due entità separate. Quello che conta e che premia è la notizia da una parte, dall’altra l’editoriale; gli editoriali spesso non sono firmati, quindi impegnano la testata in quanto tale. Se guardiamo ai settimanali anglosassoni – continua – escluso l’Economist che non ha articoli firmati, vediamo spesso articoli firmati da un nome, con sotto scritto “hanno contribuito” e nomi di due, tre, quattro persone. Qui in Italia invece è inviolabile ciò che viene inviato in redazione, serve il consenso dell’autore per modificare un articolo. Il mondo anglosassone in questo senso è più pragmatico, ci sono giornalisti che verificano le fonti e fanno un ulteriore lavoro sul prodotto scritto. Quel prodotto non è paragonabile all’articolo di un singolo inviato o corrispondente, per quanto bravo e attivo sia. Questo dà un senso della qualità di certa stampa».
Anche Enrico Franceschini la pensa più o meno allo stesso maniera: «L’AI ha riassunto molto bene la differenza culturale tra questi due giornalismi. Il NYT mi ha insegnato a scrivere in modo semplice e in bella scrittura senza barocchismi e mi ha insegnato a tenere separati i fatti dalle opinioni. La seconda scuola che ho avuto sono stati gli altri giornali, come il Guardian, il Times. Un vantaggio della lingua inglese è che permette di avere lettori in tutto il mondo, quindi più risorse, e questo è un passaggio importante. Dopodiché il lavoro giornalistico è lo stesso, ma forse nel mondo anglosassone c’è maggiore sforzo di verifica, si cercano più fonti per la notizia, c’è più rigore; noi italiani abbiamo più fretta di dare la notizia, di arrivare per primi; certo, anche da noi c’è rigore e attenzione, non vorrei far passare il giornalismo italiano peggio di quello che è, ci sono molti giornali di qualità in Italia e grandi giornalisti, ma spesso c’è un problema di risorse».
Mauro Forno porta una prospettiva di tipo storico: «La prima volta che si parlò di separazione tra fatti e opinioni era il 1702. Si parlava di lavorare in chiave della correttezza di informazioni, ovvero citare le fonti e separare i fatti. Quindi già nel 1700 abbiamo un’essenza compiuta della deontologia professionale che ha caratterizzato e caratterizza il giornalismo mondiale. È anche per questo che credo non sparirà mai una professione come il giornalismo; quello che sarà sempre più difficile, invece, sarà la sfida di tenere in piedi in modo sostenibile l’informazione di qualità».
Donald Sassoon racconta un aneddoto importante, che mette ulteriormente l’accento sulla differenza tra stampa britannica e italiana, dove la divisione interna tra notizie e opinioni è molto forte: «Le divisioni tra opinioni e fatti valgono fino a un certo punto, molto dipende dalla situazione che si descrive, dai fatti che si scelgono. Una delle mie più importanti lezioni di giornalismo l’ho imparata dalla mia donna delle pulizie, che arrivava con il Sun a casa. Quella per me era l’unica occasione in cui leggevo il Sun, mentre lei passava l’aspirapolvere nel mio studio. Una volta il titolo principale era su un fatto insultante verso gli irlandesi. Lei era irlandese e mi sono permesso di farle notare quel titolo. Lei rispose: ma lei crede a questo giornale? Io lo leggo per il cinema, mio marito per lo sport; della prima pagina non importava. Questo mi ha insegnato che il lettore sceglie sempre cosa leggere».
Concluso il corso di formazione sono stati consegnati i premi alla presenza di rappresentanti del Premio Morrione, del presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte Stefano Tallia, di Barbara Bruschi, rappresentante dell’Università di Torino e di Silvano Esposito, presidente dell’Associazione Subalpina; in quel frangente è stata messa in evidenza l’importanza di trasmettere alle nuove generazioni di giornalismo il saper fare che è patrimonio delle generazioni precedenti, ma anche l’importanza della formazione come missione per lavorare sull’informazione e sulla conoscenza, nonché sull’importanza di difendere l’autonomia e l’indipendenza del lavoro giornalistico.
Sono intervenuti anche alcuni rappresentanti del Pestelli, mettendo in evidenza la varietà di approcci delle tesi ricevute, che hanno saputo raccontare un giornalismo storico, geografico, anche in lingua inglese, toccando tutti i grandi temi dell’attualità del mondo dell’informazione, utili a comprendere quale potrà essere la direzione del futuro di questa professione.