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GIORNALISTI

25/10/2024

Premio Schiavazzi: «L’omaggio a un’idea di giornalismo libero»

Nove anni fa, il 23 ottobre, a 55 anni d’età, è morta Vera Schiavazzi, lasciando un vuoto evidente non soltanto in chi l’ha conosciuta ma anche nel panorama giornalistico piemontese. Chi era Vera? Giornalista di Repubblica, cronista tenace e sensibile, sindacalista, prima direttrice del Master in giornalismo di Torino, valdese, e molto, molto di più.

Nell’ambito delle giornate del Premio Morrione si è deciso di ricordarla, partendo da una domanda: dove passa il confine che separa l’essere giornalista che racconta dall’essere parte di una storia? Dove si colloca la linea di demarcazione fra il retroterra culturale, etico, emotivo del cronista che assiste e documenta un fatto e l’indispensabile distacco e oggettività nel raccontarlo? Sono domande che negli ultimi anni la sempre più ampia disintermediazione delle notizie da un lato, e la sempre maggiore difficoltà nel verificare l’entropia delle fonti dall’altro, hanno riportato al centro della riflessione sul senso del giornalismo oggi.

Proprio per questo il tema “Giornalismo e partecipazione” è stato scelto come tema dell’edizione 2024 del Premio giornalistico Vera Schiavazzi, destinato al miglior elaborato – testo, video, audio, webdoc, podcast – realizzato da studenti ed ex studenti under 35 dei master universitari di giornalismo riconosciuti dall’Ordine.

Prima della consegna del premio si è tenuto un dibattito alla “Fabbrica delle E” che ha visto coinvolti diversi interpreti del mestiere di giornalista. Ad aprire l’evento di formazione è Simonetta Rho, giornalista, che parla di «omaggio a un’idea di giornalismo. Vera sapeva mantenersi in equilibrio nel racconto dei fatti, il suo era un giornalismo libero e oggi è importante cercare di far passare questo messaggio, questo sguardo, ai giovani giornalisti. Altra cosa in cui credeva Vera era la scuola di giornalismo, per dare la possibilità a tutti di fare il praticantato e accedere al mondo del giornalismo. Ma quando si parla di libertà cosa si intende? Il giornalista libero – conclude Rho – racconta, mantiene la distanza, ma non è una macchina, è qualcuno che cerca di entrare nelle cose e partecipare».

Alessandra Comazzi, giornalista, critica televisiva, prosegue con un intervento sul lavoro di raccontare fatti: «Con qualunque mezzo si faccia, si può fare buon giornalismo o cattivo giornalismo. Il buon giornalismo è quello che racconta un fatto, che sia programma tv, una partita di calcio, il Consiglio dei Ministri, con un approccio che resta sempre uguale: ovvero raccontare quel che si vede con partecipazione. Da cosa è fatta la partecipazione? Dalla preparazione, questa è la discriminante essenziale. Se si sa ciò di cui si parla, tutto è più facile, con umana partecipazione e rispetto rigoroso dei fatti. Inoltre – aggiunge Comazzi – il giornalismo è fatto di scelte; gli input sono sempre stati tanti, il materiale è sempre stato più di ciò che si poteva pubblicare; la rete forse toglie quel limite, o almeno è meno significativo, per questo il limite lo dobbiamo trovare in noi stessi. Citando Sant’Agostino, guardare in noi stessi per trovare quel limite, perché il giornalismo ha delle regole, delle conoscenze, delle consapevolezze, delle tecniche, una deontologia da rispettare».

Silvia Garbarino, segretaria Associazione Stampa Subalpina, nel suo intervento insiste sull’importanza dello studio e dell’approccio, ma tocca anche il tema delle opportunità e della comunità: «Il giornalismo in questo momento è uno dei mestieri più sottopagati e questo mette a repentaglio tre cose: la volontà, la passione e l’ideologia di fare il giornalismo. La libertà oggi è condizionata dalla sostenibilità, oltre alle leggi che restringono sempre di più la possibilità dei giornalisti di andare a fondo delle notizie. Il giornalista lo è anche fuori dal lavoro, è una professione, questa, che rafforza il senso del dovere e del rispetto. Fai il giornalista non per te stesso, ma per condividere qualcuno con qualcun altro, questo è il senso sociale del mestiere, della comunità che viene a conoscenza di qualcosa che altrimenti non saprebbe. Questo è per esempio anche il valore dell’inchiesta già di Schiavazzi e di Morrione».

Anche Giorgio Levi, presidente Centro Pestelli per il Giornalismo, tocca il tema delle risorse: «C’è una crisi editoriale grande, ma ci sono anche consorzi di giornalisti che decidono di fare inchieste in modo alternativo. L’occupazione “fissa” è quasi scomparsa, ma ci sono altri modi di fare giornalismo, il problema è sempre quello di reperire le risorse e di offrire retribuzioni in funzione delle risorse».

A chiudere gli interventi di Alessia Cerantola e Stefano Parola: «Partecipazione – dice Cerantolala metto accanto alla parola collaborazione, che per me è una parola chiave. I consorzi non si vogliono sostituire al giornalismo tradizionale, ma si lavora assieme allo stesso scopo, alla stessa inchiesta, sia a livello nazionale che internazionale. Il lavoro che facciamo ha un impatto. Si va a riempire un vuoto che è quello che i giornali non possono coprire e si va a sostituire il ruolo dell’inviato o del corrispondente; si tratta di sopperire a strutture che sono venute a mancare. Anche questa è libertà, ma soprattutto sono cose per cui crediamo sia ancora importante fare quello che facciamo».

«Sono moderatamente ottimista sul futuro della professione – dice Parola -. Il bisogno di giornalismo non scomparirà, prenderà presumibilmente altre forme, ma qualcuno che spieghi le cose e fissi i paletti servirà sempre. Oggi sui social spesso noto che manca la mediazione, vengono postati magari video che potrebbero anche essere notizie ma senza contesto, non si sa chi, che cosa, come, perché, sono solo spaccati di realtà avulsi da tutto il resto; è importante la prova documentale, ma se manca il contesto manca una parte importante. Il giornalismo ha un ruolo nel filtrare e nel dare una gerarchia alle cose, nel contestualizzare, nel fornire più punti di vista, non polarizzati. Il giornalismo ha un ruolo nell’interpretazione della realtà. Tuttavia grazie ai social il giornalismo è entrato in contatto realmente con i lettori; l’interazione è molto forte tramite i commenti e questo ha permesso al giornalismo di fare alcuni sforzi per migliorare il linguaggio inclusivo, c’è più sensibilità, più attenzione, più formazione, che ha aiutato a migliorare il racconto dei diritti. La sfida è capire come declinare tutto ciò in qualcosa che abbia anche e sempre un valore».

In chiusura, il saluto del presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte Stefano Tallia: «Oggi servono più conoscenze rispetto al passato: non bisogna solo saper riconoscere la notizia e saper scrivere bene in italiano, bisogna anche saper consultare le fonti, avere conoscenze che spesso cambiano di mese in mese».

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