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ATTUALITA'

10/05/2025

Agasso, vaticanista de La Stampa, racconta “da dentro” l’elezione di Prevost

L’elezione di un nuovo Papa è sempre un evento che scuote il mondo, un momento in cui storia e spiritualità si intrecciano davanti agli occhi di milioni di persone con il mondo dell’informazione. A partire da questo presupposto abbiamo raccolto le impressioni di un vaticanista della Stampa, Domenico jr Agasso, testimone diretto di ciò che è accaduto a Roma nei giorni del Conclave che ha portato all’elezione di Papa Prevost. Dalle emozioni vissute in piazza San Pietro al significato globale di questa scelta, passando per la voce della gente e il peso simbolico di un Papa americano, il racconto ci accompagna dentro le pieghe di un passaggio epocale. Una conversazione che illumina non solo la cronaca, ma anche il desiderio collettivo di senso che continua ad accompagnare ogni nuovo inizio nella Chiesa cattolica.

Domenico, come vaticanista di Stampa hai seguito da Roma l’elezione del nuovo Papa. Prima di tutto, che emozione ci puoi descrivere sul tuo stare lì in un momento storico per il mondo?

Anche se è il mio lavoro, ogni Conclave ha qualcosa di irripetibile. Essere qui mentre il mondo trattiene il fiato e piazza San Pietro si riempie di emozione, è un privilegio immenso. Quando è stato pronunciato il nome di Prevost dopo l’Habemus Papam ho sentito un silenzio surreale, poi lo stupore, e infine un applauso spontaneo. Ho avuto i brividi: è una di quelle volte in cui senti di essere testimone della storia.

L’attenzione planetaria e costante di questi ultimi giorni sulle vicende della Chiesa si spiega col fatto che viviamo un tempo di connessione globale costante? O c’è altro, un bisogno di identificazione?

La connessione globale sicuramente amplifica tutto, ma non basta a spiegare questa attrazione collettiva. La Chiesa cattolica, con i suoi riti, le sue domande, la sua universalità, continua a toccare corde profonde. Credo ci sia anche un grande bisogno di senso, di punti fermi, di figure che non parlino solo alla testa ma anche al cuore. In un tempo di crisi e incertezze, l’elezione di un Papa è uno di quei momenti in cui anche i più lontani si fermano a guardare. Non è solo curiosità: forse è desiderio, talvolta inconscio, di riconoscersi in qualcosa di più grande.

Che cosa raccoglievi fra le persone? Cosa ha portato in piazza più di 150.000 persone?

Ho visto volti commossi, famiglie intere, giovani e anziani. In molti mi hanno detto: “Volevamo esserci, volevamo sentire con i nostri occhi e con il nostro corpo che stava nascendo qualcosa di nuovo”. La folla non era lì solo per la notizia, ma per vivere un’appartenenza, per dire: “questa è anche la nostra storia”. In piazza c’erano i fedeli, ma anche i curiosi, gli scettici, gli atei: perché quando la Chiesa vive uno snodo come questo, diventa – che lo si voglia o no – punto di riferimento dell’umanità intera.

Quanto c’è di più strettamente politico nell’elezione di un Papa americano?

L’elezione di un Papa non è mai solo spirituale o solo geopolitica: è entrambe le cose, ma in un equilibrio delicato. Scegliere uno statunitense oggi, nel 2025, ha un forte valore simbolico: indica che la Chiesa guarda senza paura anche al cuore dell’Occidente, ma scegliendo un uomo che viene dalla frontiera, non dal potere. Papa Prevost è statunitense, sì, ma è anche profondamente latinoamericano per formazione, e agostiniano per spiritualità: è difficile etichettarlo. Non rappresenta gli Stati Uniti come potenza, ma una Chiesa che dagli USA si è fatta globale. È una scelta che parla anche alla politica, ma senza piegarsi ad essa.

Perché immaginavi che potesse essere lui il prescelto?

Lo tenevo d’occhio da tempo. Da prefetto dei vescovi ha svolto un lavoro riservato ma decisivo, facendo emergere una linea chiara: discernimento, sobrietà, fermezza. Non è un uomo che cerca visibilità, ma uno che sa ascoltare a fondo e poi agire. E in Conclave, spesso, sono queste le figure che emergono: quelle che uniscono spiritualità, equilibrio e coraggio. La sua provenienza “laterale”, da una missione pastorale più che da incarichi diplomatici, era proprio il tipo di profilo che molti cardinali cercavano per proseguire, con stile diverso, la traiettoria tracciata da Papa Francesco.

Tu scrivi: Papa Prevost appare come una guida capace di rassicurare e stimolare, di ascoltare e decidere. Spiegaci il tuo pensiero.

Papa Prevost ha un volto mite e allo stesso tempo determinato. Lo si percepisce nel modo in cui si è presentato: accogliente, riflessivo, con lo sguardo sicuro. È un uomo che rassicura perché sa farsi vicino. E quando serve, sa prendere decisioni anche difficili. Ha una formazione spirituale profonda – da agostiniano – e una lunga esperienza nelle terre della complessità, come il Perù. Questo lo rende un Papa che non divide, ma stimola. Che non urla, ma orienta. E in un mondo che ha spesso bisogno di polarizzarsi per trovare ascolto, lui rappresenta una possibilità diversa: la guida che costruisce spazi di ascolto, e poi indica con chiarezza la via da seguire. La via basata sull’equilibrio.

Carla Piro Mander

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