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23/10/2025

L’intelligenza artificiale in redazione tra opportunità, rischi e nuove sfide

In occasione della decima edizione del Premio Pestelli, dedicato ogni anno alla migliore tesi di laurea sul giornalismo, si è tenuto ieri sera un vivace dibattito su uno dei temi più urgenti del presente: l’impatto dell’intelligenza artificiale sulle redazioni e sulla professione giornalistica, a partire anche e proprio dalla tesi vincitrice del Pestelli, che si occupa del tema con un’ampia prospettiva.

L’incontro, moderato da Stefano Tallia, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, Carlo De Blasio, vicedirettore della Tgr Rai, Guido Boella, vicerettore vicario dell’Università di Torino, Mauro Forno, storico del giornalismo, e della giornalista Silvia Isola, vincitrice del Pestelli con la tesi “AI-nformazione. L’algoritmo del giornalista 4.0”.

Aprendo il confronto, Guido Boella ha offerto un quadro del “backstage tecnologico” dell’intelligenza artificiale: «Negli ultimi quindici anni – ha ricordato – il machine learning ha imparato ad apprendere dagli esempi grazie all’aumento della capacità computazionale e alla disponibilità di enormi quantità di dati digitalizzati. L’apprendimento automatico – ha spiegato Boella – funziona come imparare ad andare in bicicletta: serve l’esperienza diretta, non bastano le spiegazioni. Molte conoscenze umane sono tacite, come il gusto di un vino o le emozioni: difficili da spiegare, ma fondamentali. E anche nel rapporto con le macchine questo va considerato».

Sul fronte dell’informazione, le potenzialità sono grandi ma ancora incerte. «Non limitiamoci a pensare all’AI generativa come strumento per scrivere testi. Potrebbe aiutarci a capire l’effetto che un articolo produce sul pubblico, migliorare le argomentazioni, individuare i punti deboli di un pezzo o cercare fonti sul web. Ma il vero impatto dipenderà dalle scelte degli editori: se investiranno per aumentare la produttività e la creatività, o se la useranno solo per tagliare i costi».

Per Carlo De Blasio, vicedirettore della Tgr Rai, la sfida è prima di tutto etica e culturale: «Siamo in un momento storico in cui il margine tra l’agente umano e quello virtuale è sempre più sottile. A volte, ai fini fattuali, non cambia nulla, ma quel margine è fondamentale nel rapporto che costruiamo con la macchina». De Blasio ha sottolineato come l’AI, pur apparendo intelligente, non sappia gestire l’incertezza: «Se non sa rispondere, si inventa qualcosa. È programmata per dire comunque qualcosa, anche quando non sa. Ma il ‘non lo so’ è un meraviglioso segno di intelligenza umana».

Il rischio, ha aggiunto, è di lasciar campo libero a un’invasività tecnologica «che ignora valori umani, principi etici e la dignità delle persone. Una macchina non può sapere cosa significhi raccontare un processo senza condannare chi non è stato ancora giudicato».

Per De Blasio, l’AI può diventare quindi uno strumento utile solo se governata con professionalità: «Può aiutarci a cercare fonti o a ottimizzare tempi e risorse, ma mai sostituire l’empatia e la comprensione sottile di un giornalista».

A seguire interviene nel dibattito Silvia Isola, giornalista al “Secolo XIX” e autrice della tesi premiata “AI-nformazione. L’algoritmo del giornalista 4.0”. «Faccio questo mestiere da otto anni – ha raccontato – e quando è arrivata l’AI mi sono chiesta quale sarebbe stato il futuro della mia professione. Ho scelto di non farmi prendere dallo sconforto, ma di capire come trarne vantaggio».

La tesi esplora i possibili usi dell’intelligenza artificiale nel lavoro quotidiano del giornalista: dalla trascrizione automatica di interviste alla generazione di sottotitoli, fino all’ottimizzazione dei contenuti per i social e il web. «L’AI può farci risparmiare tempo, ma non può sostituire la verifica e la responsabilità: la firma e la deontologia restano del giornalista».


Isola ha condotto anche un confronto con redazioni italiane – da Rai a Mediaset, dal gruppo Gedi a testate come Fanpage, Factanza e Will Media – e ha osservato come molte stiano sperimentando chatbot e sistemi di supporto redazionale. «L’AI può essere un valido stagista. Non ha curiosità, non conosce la realtà, non prova empatia. E soprattutto, non ha interesse a sapere: fa domande solo per rispondere, non per capire».

Tra i casi più innovativi citati, un progetto nato a Malaga, in Spagna, dove un’app ideata da giornalisti aiuta a redigere bozze di articoli sulla base di dati strutturati, «ma l’intervento umano resta imprescindibile».

«L’AI – conclude – non va temuta ma padroneggiata, per continuare a fare, nel modo migliore possibile, il mestiere più bello del mondo».

Lo storico del giornalismo Mauro Forno conclude il giro di interventi ricordando che ogni innovazione tecnologica ha suscitato timori prima di essere accettata. «Anche i computer, negli anni Ottanta, incontrarono forti resistenze nelle redazioni, eppure poi ne migliorarono la qualità».

Ma oggi il vero nodo è la fiducia e cita alcuni dati. «Solo il 30% degli italiani si fida dei mezzi d’informazione – ha ricordato Forno citando un recente rapporto Reuterse appena il 19% si dice disposto a fidarsi delle notizie prodotte da un’intelligenza artificiale. Quando però interviene una mediazione umana, la percentuale cresce sensibilmente».

Il giornalista e lo storico, ha aggiunto, «sono accomunati dalla debolezza di chi racconta il presente: chiunque può contraddirli, ma proprio per questo devono essere irreprensibili. Non dalla parte di chi ha ragione o torto, ma dalla parte della verità, della verifica e della responsabilità».

(Foto Alessandro Valabrega)

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