schiavazzi 2025
GIORNALISTI

24/10/2025

Giornalismo e sguardi al femminile in occasione del Premio Schiavazzi

Si è tenuto ieri, giovedì 23 ottobre, al Circolo dei Lettori di Torino, il Premio Vera Schiavazzi. Un’edizione speciale, segnata dal ricordo dei dieci anni dalla scomparsa di Vera Schiavazzi, giornalista che ha formato intere generazioni di professionisti dell’informazione.


L’incontro, introdotto da Simonetta Rho, si è aperto con il saluto del presidente del Centro Pestelli Giorgio Levi, che ha sottolineato il valore del premio come occasione di continuità e crescita: «Abbiamo voluto accostare il nome di Pestelli a quello di Vera Schiavazzi per far crescere insieme un progetto che parla ai giovani giornalisti, all’interno di una settimana a loro dedicata. Questa settimana, che anticipa il Premio Morrione, è un momento per confrontarci con il giornalismo di oggi e trovare un linguaggio comune con le nuove generazioni».


La cerimonia è proseguita con la consegna della targa a Elisabetta Rosso, giornalista di Fanpage.it ed ex allieva del Master “Giorgio Bocca”, vincitrice dell’edizione 2025 del premio. Le motivazioni hanno richiamato la capacità della giovane collega di «coniugare l’utilizzo sapiente delle nuove tecnologie con i valori fondanti di Vera Schiavazzi: correttezza, continenza e verifica delle fonti».


Un momento particolarmente toccante è stato l’intervento dei figli di Vera, Olga e Davide Mancini, che hanno ringraziato la platea per la vicinanza e per la continuità del ricordo: «Vi ringraziamo di cuore per questo momento. Siamo felici di essere circondati da tutti voi per ricordare la nostra mamma, e speriamo di ritrovarci ancora qui tra tanti anni».


Nel suo intervento introduttivo, Simonetta Rho ha ricordato anche l’iniziativa del “Bosco di Vera”, nato nel 2020 grazie ai fondi dell’Otto per Mille della Chiesa Valdese, simbolo di memoria e speranza che cresce insieme al premio.


Il dibattito che ha seguito la premiazione ha affrontato il tema del giornalismo al femminile, tra conquiste e stereotipi ancora da superare. Simonetta Rho ha ricordato gli inizi della sua carriera, quando le donne nelle redazioni erano pochissime: «Quando sono entrata in Rai eravamo tre donne. Oggi la presenza femminile è cresciuta, ma restano ancora alcuni stereotipi duri a morire. È importante rivendicare il diritto di essere come si è, di sentirsi a proprio agio con se stesse, anche nel modo di fare questo mestiere».


Elisabetta Rosso ha portato la propria esperienza di cronista, riflettendo su quanto il genere influenzi l’approccio al racconto giornalistico: «Alle donne viene spesso insegnato a essere più accomodanti, ma per fare certi lavori serve anche determinazione. Per troppo tempo il giornalismo è stato considerato solo con uno sguardo maschile, bianco e occidentale. Le donne nei luoghi dell’informazione non sono solo una questione di parità: è una restituzione di un punto di vista più completo sulla realtà».


Rosso ha raccontato anche un episodio di reportage realizzato in India«Ho incontrato ragazze sfregiate con l’acido da mariti o familiari, il fatto di essere donna mi ha aiutata a entrare in una comunità chiusa. In altri casi, invece, la tecnologia è stata un alleato: creare un account maschile mi ha permesso di osservare dall’interno contesti misogini che altrimenti mi sarebbero rimasti preclusi».

Tra le protagoniste del dibattito anche Luciana Esposito, fondatrice e direttrice di Napolitan.it, giornalista che vive sotto scorta per il suo impegno contro la criminalità organizzata. Esposito ha parlato con intensità del percorso personale e professionale che l’ha portata a costruire un progetto editoriale indipendente: «Mettere in piedi un giornale da sola non è stato semplice, ma era l’unico modo per dare un futuro al mio lavoro. Il mio impegno quotidiano è riscattare la figura femminile, anche prendendomi cura di me stessa, senza vergognarmi della mia femminilità. Questo aspetto non deve essere un limite o un fattore discriminante ma un punto di forza, una caratteristica».

E ha aggiunto un messaggio alle colleghe più giovani: «Spesso le donne non denunciano o non chiedono aiuto perché la società le fa sentire colpevoli. Non è così. Dobbiamo cambiare mentalità, e per farlo serve anche un’informazione coraggiosa, che sappia raccontare la realtà senza piegarsi ai pregiudizi».

Il Premio Vera Schiavazzi si conferma così non solo un riconoscimento professionale, ma anche un’occasione di confronto sul futuro del giornalismo e sui diritti delle donne nella professione. Come ha ricordato Simonetta Rho, la figura di Vera «resta un modello di intelligenza, passione e libertà di pensiero». Un’eredità viva, che continua a crescere – proprio come gli alberi del Bosco di Vera – nel terreno fertile di chi sceglie di fare informazione “a schiena dritta”.

Foto Alessandro Valabrega

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