“Come ti senti?”: vite da freelance sul filo del rasoio
di Alice Facchini
Ansia, stress, attacchi di panico, difficoltà a dormire, disordini alimentari, abuso di sostanze. Sono tanti i disturbi che colpiscono il benessere dei giornalisti, eppure oggi la salute mentale nel giornalismo è ancora un tabù. Gli spazi di condivisione e dialogo sono pochi, e molto raramente le redazioni mettono a disposizione un sostegno psicologico per i propri dipendenti e collaboratori. Ecco perché non è facile, per chi fa questo mestiere, riconoscere di avere un problema e vivere un momento di debolezza, e cercare sostegno.
Per promuovere la salute mentale nei media e nel mondo del giornalismo nasce il progetto #ComeTiSenti: giornalisti mai più senza rete, portato avanti dal centro di giornalismo d’inchiesta IRPI (Investigative Reporting Project Italy), in collaborazione con Casagit Salute, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana e l’Ordine dei Giornalisti della Lombardia. Il progetto prevede diverse azioni: il sito www.cometisenti.info raccoglie storie e segnalazioni anonime, e fornisce strumenti per affrontare situazioni di stress o disagio psicologico. In autunno, verrà pubblicato un libro che racconta lo stato della salute mentale dei giornalisti italiani. Ma soprattutto, una serie di eventi sui territori aprono al dialogo, e contribuiscono ad aumentare la consapevolezza sul tema.
Il progetto è il risultato dell’indagine Come ti senti?, realizzata dalla testata indipendente IrpiMedia e rivolta ai giornalisti freelance o con contratti parasubordinati. Attraverso un questionario ha raccolto 558 risposte: l’87% afferma di soffrire di stress, il 73% di ansia, il 68% sente un senso di inadeguatezza. Più del 40% denuncia la sindrome da burnout, attacchi di rabbia immotivati e dipendenza da internet e dai social network. Uno su tre parla esplicitamente di depressione. I fattori maggiormente impattanti sono in primis l’instabilità e la precarietà, seguite dai compensi troppo bassi, il fatto di rimanere sempre connessi e reperibili, e i ritmi frenetici.
«Per anni ho lavorato senza essere pagato. Mi dicevano: “Sai come vanno queste cose, siamo un po’ in difficoltà, prima o poi arriveranno gli sponsor”. Io ingenuamente ci speravo, e intanto provavo ad arrangiarmi anche con altri lavori». È la testimonianza di Giacomo (il nome è di fantasia, come gli altri utilizzati in questo articolo), 34 anni, uno dei giornalisti che hanno risposto al questionario. Dopo la laurea, Giacomo ha lasciato un contratto a tempo indeterminato per inseguire il sogno di diventare giornalista. Grazie a un tirocinio è entrato nella redazione di un giornale locale: «Investigavo sui movimenti di estrema destra, la mafia nigeriana, i diritti dei lavoratori sfruttati. Più volte mi sono trovato in situazioni pericolose, sono stato minacciato. A un certo punto però ho dovuto smettere perché non avevo nessuno alle spalle: non avevo soldi e non potevo permettermi di essere querelato».
Giacomo è uno dei tanti giornalisti freelance che vivono sul filo del rasoio: gli articoli dei giornali sono pagati sempre meno e le collaborazioni raramente hanno una continuità che permetta di avere certezze sul futuro. «Vivevo schiacciato da una pressione che veniva da più parti: la pressione del caporedattore che aspettava l’articolo, la pressione di chi voleva che quell’articolo non venisse pubblicato, la pressione dell’affitto e delle bollette da pagare – racconta Giacomo –. Ho sofferto di tachicardia, facevo fatica a respirare, avevo la gastrite, la pressione alta, una continua fame nervosa». Ha capito di avere un problema un giorno in cui è andato a fare un servizio sul caporalato nei campi intorno alla sua città: «I braccianti mi raccontavano che lavoravano sotto il sole per tre euro all’ora, e invece di provare empatia sentivo solo una grande rabbia: io guadagnavo zero euro all’ora, eppure la mia storia non la raccontava nessuno».
Un altro aspetto che emerge dall’inchiesta è quello delle discriminazioni di genere. Gender pay gap, carriere più faticose, svilimento delle capacità personali, ma anche molestie, violenze e diritto alla maternità negato… sono ancora molti gli ostacoli che devono affrontare le donne giornaliste. Tanto che il Media Pluralism Monitor 2023 ha assegnato all’Italia il massimo livello di rischio per quanto riguarda la parità di genere nei media. Tra le testimonianze raccolte c’è quella di Giulia: «Una volta mi sono sentita dire: “Non mi faccio intervistare da lei perché non è competente, vorrei un collega uomo”». E poi Monica: «I miei superiori si permettevano di insinuare che durante le trasferte avessi rapporti con i collaboratori». E ancora Sara: «Il mio caporedattore faceva apprezzamenti fisici e mi parlava di sesso: alla fine ho dovuto interrompere la collaborazione».
Martedì 21 maggio a Roma si è tenuto l’evento di lancio del progetto #ComeTiSenti: giornalisti mai più senza rete, nella sede della Federazione nazionale della Stampa italiana. L’obiettivo è duplice: da un lato sensibilizzare sul tema, dall’altro provare anche a fornire risposte ai bisogni emersi e strumenti per affrontare le difficoltà. Perché lo stato della salute mentale dei giornalisti è legato alla qualità dell’informazione, dunque ha un impatto diretto sullo stato di salute della nostra democrazia.