Quando il fattore tempo è decisivo: prevenzione e trattamento dell’ictus
di Stefano Menna
È la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e i tumori, la prima in assoluto di disabilità. Ogni anno in Italia oltre 185 mila persone vengono colpite da ictus, l’80% sono nuovi casi mentre il resto è costituito da recidive. 45 mila di loro sopravvivono, spesso però con un’invalidità permanente. Un terzo contrae una disabilità tale da compromettere del tutto l’autosufficienza, un terzo riesce a riacquistare una parziale autonomia, solo un terzo recupera del tutto. Un problema che non risparmia i giovani: sono più di 4 mila le persone con meno di 45 anni colpite da ictus, il 16% dei quali non riprende le proprie capacità neurologiche. Oggi sono quasi un milione le persone che nel nostro Paese convivono con gli effetti di un ictus, ma il fenomeno è in crescita. Tanto che, ogni anno, un medico di famiglia ha 4-7 nuovi pazienti che vengono colpiti dalla malattia e deve seguirne almeno una ventina con esiti più o meno invalidanti.
Pesanti dunque le conseguenze. La spasticità si presenta nel 19% dei casi a 3 mesi, dal 17% al 38% a un anno dall’episodio acuto. I trattamenti riabilitativi, soprattutto se intrapresi precocemente, permettono il ripristino delle funzionalità compromesse e una buona qualità di vita. E però, appena il 18% dei pazienti che sopravvive a un ictus riceve una diagnosi di spasticità e soltanto 5 mila beneficiano del corretto trattamento. Inoltre, gli accidenti cerebrovascolari rappresentano la seconda forma più comune di demenza, soprattutto tra gli anziani (fino al 40% in più rispetto alla media), a causa delle lesioni cerebrali multiple di origine circolatoria. Elevatissimi anche i costi a carico delle famiglie e del Sistema sanitario nazionale: la federazione Alice Italia stima circa 10.000 euro solo nella fase acuta della malattia, mentre disabilità e invalidità determinano negli anni una spesa intorno ai 100.000 euro per paziente. Per non parlare dell’impatto, incalcolabile, sul fronte personale e psicologico, familiare e lavorativo.
Un quadro allarmante, che ha spinto l’Italian Stroke Association alla stesura di nuove linee guida terapeutiche, approvate e pubblicate dall’Istituto Superiore di Sanità. L’obiettivo è standardizzare i percorsi assistenziali e di cura, sulla base delle più aggiornate evidenze scientifiche. A iniziare dai trattamenti endovascolari e dalla rivascolarizzazione farmacologica con trombolisi, che costituisce ormai il trattamento consolidato dell’ictus ischemico acuto.
Per quanto sia per definizione un evento improvviso e inatteso, l’ictus potrebbe essere evitato ben 8 volte su 10 grazie alla prevenzione. In particolare modificando le cattive abitudini, adottando stili di vita sani e tenendo sotto controllo fattori di rischio (sedentarietà, alcol, fumo, ipercolesterolemia) e patologie (obesità, diabete, ipertensione, fibrillazione atriale) che ne favoriscono l’insorgenza. È allora fondamentale seguire un’alimentazione corretta e bilanciata riducendo il sale, praticare attività fisica costante, limitare il consumo di alcol, non fumare, controllare regolarmente pressione arteriosa, colesterolo, glicemia ed eventuale presenza di fibrillazione atriale, aritmia cardiaca che nel nostro Paese colpisce un milione di persone ed è responsabile del 20% degli ictus ischemici. Chi è affetto da fibrillazione atriale vede aumentare di 4 volte il rischio di ictus tromboembolico, di solito più grave e invalidante perché l’embolo che parte dal cuore chiude arterie di calibro maggiore, danneggiando aree estese del cervello. Questa forma di ictus ha una mortalità del 30% entro i primi tre mesi dall’evento e lascia esiti invalidanti in almeno la metà dei pazienti.
La lesione cerebro-vascolare è causata dall’interruzione del flusso di sangue al cervello, per l’ostruzione (ictus ischemico) o la rottura (ictus emorragico) di un’arteria: i neuroni, privati dell’ossigeno e dei nutrimenti necessari anche solo per pochi minuti, cominciano a morire. Colpisce spesso senza preavviso e senza dolore: una persona in piena salute può accusare, di colpo, i sintomi tipici che possono essere transitori o peggiorare nelle ore successive. Paralisi, formicolii al viso, bocca storta, perdita di forza a un braccio o a una gamba, disturbi della vista, vertigini, mancanza di coordinazione motoria, difficoltà di linguaggio: sono tutti campanelli d’allarme da non sottovalutare, per i quali un intervento tempestivo – come il ricovero immediato e il trattamento nelle stroke unit – può dare buoni risultati.
L’ictus è infatti una patologia tempo-dipendente: prima si interviene, maggiori sono le possibilità di sopravvivenza e recupero. Purtroppo, però, l’assistenza sul territorio non è uniforme: tra le Regioni italiane è ancora troppo ampio il divario sulla gestione della malattia e dei pazienti. Notevoli anche le differenze all’interno delle Regioni stesse. Lo mette bene in luce l’ultima indagine dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), effettuata sui dati del 2023 e presentata a Roma alla fine di marzo. Sull’ictus, le realtà più virtuose risultano la Provincia autonoma di Bolzano e l’Emilia-Romagna. Tra le prime cinque reti più performanti figurano poi Liguria, Veneto e Lazio. Più in ritardo invece Sardegna, Valle d’Aosta, Molise e soprattutto la Basilicata. Gli indicatori presi in esame sono la mortalità a 30 giorni dal ricovero, il trattamento dell’ictus ischemico con trombolisi e trombectomia, il trattamento dell’emorragia subaracnoidea e le dimissioni con invio a riabilitazione. Le disparità rilevate possono essere imputate al modo in cui sono organizzati i servizi sanitari e all’incompleta integrazione tra territorio e ospedale. Ma anche al progressivo adeguamento dei percorsi clinici agli standard di cura aggiornati e basati sulle evidenze, non sempre in linea con la pianificazione attesa. L’analisi è quindi utile non tanto per dare le “pagelle” alle Regioni, quanto per individuare in modo costruttivo le aree di miglioramento. Oltre che per disegnare interventi organizzativi e gestionali che garantiscano una più efficace presa in carico delle persone colpite da ictus cerebrale.