
Che cosa abbiamo imparato dal giornalismo finlandese
Sei giorni di formazione continua a Helsinki per capire come gestire la disinformazione: Daria Capitani e Barbara D’Amico condividono le prime impressioni dalla fine del viaggio-studio
La Finlandia è un laboratorio giornalistico, un avamposto per l’informazione europea. Vuoi perché condivide un confine di 1300 km con la Russia che, dopo aver invaso l’Ucraina, è diventata un vicino su cui vigilare con ancor più attenzione, vuoi perché da decenni è ai primi posti nelle classifiche sulla libertà di stampa e soprattutto sul suo presupposto fondamentale: l’alfabetizzazione mediatica della popolazione.
Per capire come si comporta il sistema media a quelle latitudini e quali accorgimenti adottano i finlandesi contro la disinformazione – e cosa quindi possiamo trarne noi innanzitutto come cittadini e poi come giornaliste/i – abbiamo deciso di imbarcarci per una settimana, dal 6 al 12 aprile, in un intenso viaggio formativo organizzato dall’Ordine dei Giornalisti della Liguria nell’ambito del programma europeo Erasmus+.
Il programma è coordinato dalla giornalista Stefania Beretta che ormai è una veterana di queste missioni. Il nostro è stato l’undicesimo gruppo di professioniste e professionisti (nel nostro caso, 18) a partecipare alla formazione. Il sesto a Helsinki dall’inizio del progetto.
Come riportano i colleghi RAI che hanno dedicato un pezzo all’iniziativa, «dal 2021, oltre 130 colleghi hanno partecipato a questi corsi, contribuendo poi a realizzare 21 sessioni formative per giornalisti, più di 40 incontri nelle scuole, 50 eventi pubblici e 3 trasmissioni radio, raggiungendo più di 5.000 persone».
La differenza fondamentale tra una formazione teorica e una sul posto è enorme. Abbiamo avuto la possibilità di parlare con e intervistare i principali attori del progetto di media literacy del paese: dai responsabili del programma del Ministero dell’Istruzione e della Cultura, passando per la rappresentante del sindacato giornalistico finlandese Uja, l’Università di Haaga-Heliae e l’emittente televisiva MTV3.
Una parte fondamentale sono stati i laboratori con fact-checkers noti a livello internazionale (Pipsa Havula di Faktabaari e John Helin del gruppo BlackBird). La quantità di materiale che abbiamo raccolto, e studiato, basterebbe a creare percorsi formativi in Italia per un anno almeno. E infatti organizzeremo momenti di restituzione di quanto emerso nei prossimi mesi con i nostri Ordini di appartenenza, su cui vi terremo aggiornate e aggiornati.
Qui, intanto, anticipiamo alcuni punti salienti o key findings. Li condividiamo perché vorremmo dessero il via – come la miglior tradizione finlandese ci ha insegnato – a un dibattito costruttivo, uno scambio su cosa possiamo importare e su come sistematizzare i progetti che già esistono in Piemonte per migliorare l’informazione e la media literacy con il supporto del nostro Ordine dei Giornalisti.
- L’informazione è un bene pubblico, che va garantito al pari dell’acqua potabile. Tutti se ne prendono cura in un lavoro di manutenzione costante da zero a 100 anni perché, come sostiene Salla Nazarenko, la referente specializzata in affari internazionali della Union of Journalists in Finland, il sindacato di categoria finlandese, «difendere la libertà di parola e il giornalismo è un everyday job».
- L’alfabetizzazione mediatica non deve limitarsi all’uso consapevole dei social o al riconoscimento delle fonti affidabili, ma è un percorso che deve insegnare il pensiero critico sin dalla più tenera età al punto che al liceo i ragazzi sanno cos’è il fact-checking e imparano a capire quando una fonte non è affidabile. La sintesi più efficace ce l’ha fornita Josephina, una ragazza del Comitato studentesco del liceo Vuosaari di Helsinki: «La verifica delle notizie, attraverso fonti multiple, è un approccio da adottare di fronte a ogni notizia, di qualunque testata giornalistica e su qualunque media».
- Anche se la Finlandia non è paragonabile all’Italia – ha la stessa estensione territoriale ma solo 5,6 milioni di abitanti – ha investito sin dagli anni Sessanta in media literacy perché la considera lo strumento principe per lo sviluppo di anticorpi contro la disinformazione e la cosiddetta guerra cognitiva. Il modello è davvero pionieristico se si pensa che l’alfabetizzazione mediatica entra per la prima volta nel curriculum scolastico nel 1972.
- Il programma è gestito a livello governativo e pervade ogni singolo settore della vita pubblica – dai ministeri alle scuole passando per le redazioni e le associazioni del territorio – ma viene data massima libertà e creatività nella creazione dei progetti formativi per arrivare all’obiettivo. Dopo decenni di investimenti nella formazione delle nuova generazioni, la sfida ora è quella di alfabetizzare ogni fetta di popolazione, senza limiti d’età.
- Il giornalismo si basa su un sistema di auto-regolamentazione, ovvero i colleghi finlandesi hanno un unico codice etico o di condotta vigilato dal Council for Mass Media e la cui violazione comporta sanzioni pubbliche. Qualunque cittadino può fare ricorso se ritiene che una redazione o un giornalista abbia violato i principi. Questo patto di fiducia per i giornalisti è estremamente importante: romperlo significa incrinare la credibilità del sistema.
- Anche il mondo dell’informazione finlandese è investito dalla crisi economica globale e subisce pressioni da parte della politica e incursioni legate alla propaganda dall’esterno. Per questo sarà importante osservare cosa accadrà nei prossimi mesi.
- In Finlandia, a una forma di educazione formale alla lettura e analisi dei contenuti mediatici si aggiunge un tipo di educazione informale che pervade gli spazi del tempo libero. Uno su tutti, il sistema delle biblioteche pubbliche: veri e propri hub di partecipazione e cittadinanza attiva, dove è garantito il libero accesso a uffici di co-working, macchinari, wi-fi, tecnologia, giochi, libri, cucine e archivi. La solidità della democrazia passa anche da qui.
- L’impatto più evidente del lavoro di alfabetizzazione compiuto negli ultimi decenni è il tasso di fiducia nelle notizie: secondo il Reuters Digital News Report 2024, è al 69% in Finlandia, esattamente il doppio della percentuale rilevata in Italia (34%).
- Il fact-checking è prima di tutto questione di cultura. «Tutti facciamo errori ma ci sono strumenti che ci possono aiutare a evitare gli scivoloni evitabili. Ovviamente, le opinioni e il futuro non sono verificabili». Pipsa Havula, caporedattrice di FaktaBaari, pluripremiata ong finlansede che si occupa di analisi e metodi di fact-checking, sostiene che lo strumento più utile al mestiere di giornalista è un muscolo che va allenato sin da bambini: lo spirito critico. Aiutato, oggi, da una grande disponibilità di strumenti digitali gratuiti per la verifica.
- Per approfondire, leggi il longform di Daria Capitani su VITA (https://www.vita.it/storie-e-persone/a-scuola-di-fact-checking-nel-paese-piu-felice-al-mondo/) e la newsletter Digital Journalism by Barbara D’Amico https://digitaljournalismbybdamico.substack.com/
(Nella foto: La biblioteca Oodi a Helsinki, esempio perfetto di come uno spazio pubblico possa costituire un’opportunità di partecipazione e cittadinanza attiva (Foto Fb Formazione internazionale Odg Liguria)