
Contratto giornalisti, Costante: «Crisi reale, ma non giustifica anni di stipendi fermi»
Il contratto nazionale dei giornalisti non viene rinnovato dal 2016, mentre i minimi retributivi sono fermi dal 2012. In questi anni il settore ha affrontato una crisi profonda, industriale ma anche sociale e culturale, che ha inciso sulla professione e sulla qualità dell’informazione. A titolo di confronto, in Germania i giornalisti dei quotidiani hanno ottenuto un aumento medio del 10,5% negoziato con gli editori.
Questo andamento evidenzia quanto il modello contrattuale tedesco, se non perfetto, risulti più reattivo rispetto al lungo stallo italiano. Di questo e molto altro abbiamo parlato con Alessandra Costante, segretaria generale della Fnsi, per capire le ragioni di questo blocco, le conseguenze per i lavoratori e quali prospettive si aprano per la categoria.
Il contratto nazionale dei giornalisti è fermo dal 2016. Perché siamo arrivati a questo punto e cosa è successo in questi anni di stallo?
«Bisogna distinguere tra contratto fermo e minimi contrattuali. Il contratto è fermo dal 2016, ma i minimi non sono fermi al 2016, bensì al 2012. Nove anni fa fu previsto un aumento in busta legato all’Edr, per cui i minimi retributivi sono rimasti quelli del 2013: significa che sono congelati da dodici anni. La crisi dell’editoria è reale, ma questa non può essere una giustificazione. È una crisi industriale, ma anche sociale e culturale. Tuttavia, nessuna categoria di lavoratori – nemmeno in settori più in crisi del nostro, come per esempio i metalmeccanici – ha visto congelare gli stipendi in questo modo per anni. Io credo che o gli editori credono nell’informazione e capiscono che deve essere sostenuta adeguatamente, oppure non ci credono: ma in quel caso non esiste alcuna “ricetta medica” che obblighi a continuare a fare gli editori. L’ultimo aumento ai famosi 120 euro che non incideva sui minimi, ma solo sugli stipendi, senza effetti sugli istituti contrattuali. Qualcosa ora deve cambiare».
Che cosa si può fare, secondo lei?
«Bisogna tenere insieme giovani e meno giovani: il peso non può ricadere solo sui colleghi che devono ancora entrare nel mondo del lavoro. Questo è un contratto che deve garantire tutele, perché la nostra categoria è sotto attacco ed è di rilevanza costituzionale. Ogni lavoro è importante ma non è un caso se giudici e parlamentari guadagnano tanto, perché una retribuzione adeguata è ciò che li sottrae ai bisogni materiali e garantisce loro autonomia. E allora, come possiamo essere autonomi noi giornalisti senza un salario dignitoso?».
Negli ultimi 9 anni l’inflazione ha eroso del 19,3% gli stipendi italiani. Qual è stato l’impatto concreto per i giornalisti con retribuzioni ferme da quasi un decennio? E in che modo la mancata rivalutazione del contratto ha influito sulla qualità dell’informazione e sulla possibilità di fare giornalismo approfondito?
«È un cane che si morde la coda: questo mestiere non è più appetibile, ti ruba la vita ma non ti dà da vivere. C’è un sottofinanziamento strutturale del settore, eppure gli aiuti di Stato sono arrivati e si tratta di soldi veri, seppure non strutturali. Ma ciò che entra nelle casse degli editori non è mai abbastanza per aumentare gli stipendi. E questo è anche uno dei motivi per cui il settore soffre di una crisi reputazionale profonda».
Dopo 15 mesi di trattativa, la Fieg ha proposto un accordo ponte di 150 euro in Edr, senza aumentare i minimi e senza effetti sugli istituti contrattuali. Perché la Fnsi lo ha definito inaccettabile e cosa risponde a chi eventualmente potrebbe sostenere che, pur con limiti, sarebbe meglio firmare un accordo ponte piuttosto che lasciare tutto fermo?
«Se la proposta nasce da un confronto con l’assemblea dei Cdr se ne può discutere. Ma a oggi, quella cifra senza rivalutazione dei minimi e senza effetti sugli istituti non è una risposta adeguata, penso per nessuno. I giornalisti tedeschi hanno ottenuto un aumento del 10%. Non credo che servano 36 giorni di sciopero come è accaduto a loro, ma questo momento deve servire a costruire una nuova coscienza collettiva. In questi dieci anni gli editori hanno disgregato il tessuto delle redazioni, indebolito il ruolo dei giornalisti. Ci sono colleghi di testate importanti che hanno paura perfino di rivendicare l’adeguamento dei forfait. Dobbiamo riprenderci il nostro tempo, il nostro mestiere e il nostro contratto».
Qual è la posizione della Fnsi sull’uso dell’AI nelle redazioni e come pensate di tutelare il lavoro umano?
«La mancata regolamentazione dell’intelligenza artificiale rischia di avere ripercussioni non solo sull’occupazione, ma anche sulla qualità delle notizie che vengono pubblicate. Questo è un fatto e va affrontato al più presto».
La Fnsi ha detto di essere pronta a mobilitarsi. Quali sono le prossime mosse se la trattativa resta bloccata? C’è il rischio che, senza un rinnovo, il contratto nazionale perda centralità per la categoria?
«I contratti si devono firmare, ma serve anche la forza di non firmarli quando non vanno bene. Non ci sono prescrizioni mediche per fare gli editori ma nemmeno prescrizioni mediche che obbligano a siglare qualunque tipo di accordo che non si reputi adeguato. Quello che invece come ruolo mi sento di dover onorare è la necessità di riunire la categoria e renderla più consapevole dei propri diritti. Gli editori dicono di essere disponibili a trattare. Anche noi, ma faremo anche assemblee per mobilitare la categoria, perché c’è un’urgenza reale di ritrovare il tessuto sociale e culturale necessario per rafforzare il nostro lavoro e la nostra autonomia».