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ATTUALITA'

05/11/2024

Ddl sicurezza, Tallia: «Spazi per il diritto di cronaca sempre più compressi»

Il disegno di legge 1660 presentato dal Governo, il cosiddetto “Ddl Sicurezza” già approvato il 18 settembre dalla Camera dei Deputati e attualmente in discussione al Senato, è un provvedimento destinato a incidere profondamente nella vita sociale del Paese poiché ridefinisce i confini penali di comportamenti intrecciati con la libertà d’espressione e manifestazione. La misura introduce una trentina di modifiche al codice penale. Definisce 20 nuovi reati fra cui la “rivolta all’interno di un istituto penitenziario”. Estende sanzioni e aggravanti. Punisce fra l’altro i blocchi stradali e chi ostacola la costruzione di grandi opere pubbliche.

Il provvedimento, seppure in itinere, ha già suscitato le critiche di categorie professionali e associazioni per i diritti civili e va a impattare in modo anche rilevante sul lavoro dei giornalisti chiamati a trattare la materia e raccontare i fatti.

L’associazione Italiastatodidiritto lunedì, in un corso di formazione, ha offerto una preziosa occasione per entrare nel merito dei contenuti del Ddl Sicurezza e delle possibili conseguenze. Sul tema si sono confrontati avvocati, magistrati, costituzionalisti e giornalisti.

Ad aprire il dibattito Emilia Rossi, avvocato penalista e già membro del Garante nazionale dei detenuti, oggi socia di Italiastatodidiritto: «Questo disegno di legge contiene perlopiù disposizioni simboliche; questo disegno prevede per esempio che nel delitto di resistenza e violenza a pubblico ufficiale, le aggravanti non possono essere bilanciate dalle attenuanti».

Il primo intervento a riguardo è di Paolo Borgna, giurista e scrittore, già magistrato a Torino: «Parto dal reato spia di un cambiamento dell’orizzonte culturale; il nuovo 415 bis, reato di rivolta in istituto penitenziario: questo a mio avviso è un reato sentinella; le rivolte sono sempre state represse contestando reati esistenti, mentre qui la novità sta in tre parole: “resistenza anche passiva”. È una novità. Siamo in pieno populismo penale e questo è un problema».

All’intervento di Borgna fa eco quello di Marco Pelissero, docente di diritto penale, presidente dell’Associazione dei professori di diritto penale: «Parliamo per esempio del reati di blocco stradale, dove l’aggravante è una situazione di normalità del fatto, ovvero se sono tre o più persone a farlo, oppure del daspo urbano, volto a spostare la marginalità sociale; in questo Ddl francamente ci sono alcune norme che mi preoccupano».

Quanto agli organi di informazione, questi giocano una partita importante in quanto fanno da raccordo tra l’opinione pubblica e la politica. A Stefano Tallia, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, viene perciò domandato come raccontare e informare i cittadini su queste disposizioni che si sta chiedendo di mettere in atto, che hanno anche limiti alle condotte individuali: «Comincio dicendo che incontri come questo sono importante per avere elementi di conoscenza su come evolve la normativa, perché ci troveremo a raccontare comportamenti che prima non consideravamo reato. La legislazione con cui noi abbiamo a che fare è una che via via sta comprimendo quelli che sono gli spazi del diritto di cronaca, ma rispetto all’opinione pubblica quello che ci tengo a sottolineare è che nella lettura di questo provvedimento mi viene da allargare lo sguardo a quello che capita in Europa, dove si tende ad andare verso norme sempre più repressive; non mi riferisco solo all’Ungheria, ma anche alla vicina Francia. C’è un certo clima e questo inevitabilmente influenza anche opinione pubblica. Spesso si sente dire – prosegue Tallia – che i giornalisti contribuiscono ad aumentare l’allarme sociale, ma se nel dibattito politico un governo assume un decreto come questo la stampa non può che dare conto di quanto sta accadendo. C’è a mio modo di vedere un approccio che è strutturalmente sbagliato, come quello di legiferare in una logica di emergenza, non ponendo mai uno sguardo più ampio».

Tallia continua facendo anche un passaggio sul CPR: «Nella nostra città – spiega – si va verso la riapertura del CPR per gestire i flussi migratori; al di là del giudizio, quello non può essere un luogo chiuso alla stampa. È una richiesta che ho già avanzato e capisco il problema, ma non capisco come i drammi che si consumano in quei luoghi non si possano raccontare. Poi c’è il tema della cosiddetta legge Cartabia sulla presunzione di innocenza. Se mettiamo insieme il decreto sulla presunzione di innocenza con alcune delle norme contenute in questo decreto sicurezza, la possibilità dell’opinione pubblica di essere informata viene fortemente messa in discussione. Perciò credo che queste cose vadano viste insieme, nel loro effetto completo. Il punto è che ciò che non funziona nel rapporto tra politica, informazione e giustizia è che non ci si mette mai attorno a un tavolo provando a capire quali sono i diritti da tutelare e gli strumenti atti a farlo. Credo – conclude Tallia – che il confronto vada sviluppato e portato avanti da parte dei mezzi di informazione facendo uno sforzo per rendere consapevole l’opinione pubblica, ma è molto difficile farlo in un Paese in cui di giustizia e diritto si discute spesso in maniera ideologica e in uno scontro continuo tra forze politiche; si dovrebbe invece definire i principi a prescindere dalla posizione che si occupa in un dato momento».

Le conclusioni sono affidate a Guido Camera, avvocato, presidente Italiastatodidiritto: «Credo che siamo di fronte a un cattivo prodotto legislativo e questo è il problema più grave; spero che in Senato ci si renda conto che questo decreto farà danni. Non è quello di cui abbiamo bisogno. È giusto che il Parlamento scriva le leggi e i magistrati le applichino, ma all’informazione dico che devono spiegare una cosa fondamentale: l’importanza di una buona legge è condizione essenziale per il rispetto dello stato di diritto e la formulazione tecnica è parte integrante di ogni scelta politica».

È possibile rivedere l’evento sul sito di Radio Radicale a questo link

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