Giustizia e informazione e quei provvedimenti fintamente garantisti
L’agitato finale di anno con il riesplodere delle polemiche sui limiti posti all’informazione da parte del Parlamento impone di tornare sul tema del delicato equilibrio tra diritti che, a mio modo di vedere, solo in apparenza sono confliggenti.
Da una parte, il diritto dell’opinione pubblica a essere informata tempestivamente su fatti che riguardano il vivere civile, dall’altra, quello delle persone sottoposte a indagine a non vedersi condannate sulle pagine dei giornali prima che questo accada, quando accade, nelle aule di giustizia. Se il tema è da anni al centro della discussione pubblica è perché nel passato, anche recente, non sono mancate storture nel rapporto tra politica, informazione e giustizia e nessuno di questi attori può dirsi immune da colpe.
Tuttavia, la mancanza di un confronto serio tra tutti i soggetti coinvolti, un confronto non dettato dalle contingenze del momento ma frutto di una riflessione ampia sui fondamenti del diritto, ha portato spesso a provvedimenti improvvisati che hanno talvolta ottenuto un risultato opposto rispetto all’obiettivo che si ponevano. Prendiamo il discusso decreto Cartabia sulla presunzione d’innocenza che parte dall’intento di recepire la direttiva comunitaria in materia. Possiamo, ad esempio, considerare autenticamente garantista una norma affida esclusivamente al capo della Procura la scelta delle notizie che possono essere divulgate e quelle che invece devono restare coperte del segreto?
Allo stesso modo, come previsto dall’emendamento presentato a dicembre dal parlamentare piemontese Enrico Costa, possiamo considerare una tutela per le persone incolpate il fatto che il mandato di arresto e i documenti che lo sostengono non possano essere resi pubblici? Proviamo a immaginare questa norma applicata in uno stato autoritario e avremo la risposta… Anche per questa ragione, oltre che per gli evidenti limiti che la norma pone al diritto d’informazione, la protesta della Fnsi in occasione della conferenza stampa di fine anno della Premier è stata più che condivisibile.
Da persona di cultura garantista che ha avuto in una intellettuale come Bianca Guidetti Serra uno dei punti di riferimento della propria formazione, ho sempre pensato che la trasparenza delle accuse e la pubblicità dei documenti sia un elemento che tutela anzitutto degli imputati, a maggior ragione quando la battaglia per le verità e la giustizia deve assumere il carattere di confronto pubblico.
Continuo a pensarlo anche se non mi sfuggono due problemi. Da una parte è necessario stabilire inequivocabilmente il momento nel quale gli atti divengono pubblici e quindi pubblicabili, un tempo che dev’essere ragionevolmente vicino al momento di avvio delle indagini.
Dall’altra, se è vero la diffusione dell’informazione in rete ha reso le notizie “immortali”, è sempre più urgente una diversa regolamentazione del diritto all’oblio che tuteli la reputazione delle persone in tutte le circostanze, cosa che ora, purtroppo, non sempre accade.
Si tratta di materie difficili da normare ma una soluzione è possibile avviando un confronto libero da pregiudizi. È l’auspicio con il quale voglio iniziare questo 2024 i cui primi giorni, tra braccia tese e auspicati comitati di controllo sull’informazione, non sono stati certo incoraggianti.
Stefano Tallia, Presidente Ordine dei Giornalisti del Piemonte