
L’esempio inascoltato di Luca Rastello e Alexander Langer
Furono tra i primi a lanciare il grido di allarme sul significato della guerra nella ex Jugoslavia
A cosa servono le ricorrenze se non a farci riflettere sugli insegnamenti del passato? Si è giustamente discusso e riflettuto in questa settimana sul trentennale del genocidio di Srebrenica, su quanto quel massacro di civili inermi abbia segnato l’inizio della fine di una certa idea di Europa, aprendo con questo il varco a vecchi e nuovi nazionalismi che hanno attaccato i valori democratici del continente.
Tra coloro che denunciarono con maggiore lucidità quella deriva vi fu anche un giornalista torinese che in quei giorni raccolse idealmente il testimone lasciato da Alexander Langer. Si chiamava Luca Rastello e anche lui ci ha lasciati in un giorno di luglio di dieci anni fa, dopo aver dedicato due decenni di professione a raccontarci e spiegarci conflitti vicini e lontani. Ricordarlo oggi non significa dunque rendere semplicemente omaggio a un collega e per molti un amico: si tratta anche di un utile esercizio per riflettere su quella che deve essere la funzione del giornalismo, del buon giornalismo.
A pochi giorni dalla sua scomparsa, per raccontare l’idea di professione che aveva Luca, scrissi queste righe: «Il giornalismo non è una professionale neutrale. Solo i senza cuore, i senza anima o i corrotti possono essere capaci di appoggiare gli occhi sul dolore del mondo per poi compitare reportage carichi di buon senso. Il giornalismo, il vero giornalismo, non conosce il buon senso. Racconta il fischio delle pallottole e l’odore di bruciato dell’uranio impoverito, anche se a sganciarlo sono stati i buoni. Il vero giornalismo non si accontenta delle verità ufficiali: chiede conto ai potenti delle loro scelte. Si documenta. Raccoglie informazioni. Il vero giornalismo è sconveniente. Non usa parole di circostanza, non prende i politici sottobraccio. Il vero giornalismo sa utilizzare tutto il vocabolario della lingua italiana, che è più che sufficiente. Niente “road-map” per raccontare un accordo di pace che è una porcata. Una porcata resta una porcata e non servono parole straniere per raccontarla».
Riscriverei oggi queste parole sillaba per sillaba con una amara considerazione in più: forse troppo poco abbiamo saputo ascoltare le parole di giornalisti come Luca e Alex, forse troppo poco siamo riusciti a trasferire il loro grido di allarme alle nostre società. Se la guerra si è allargata nel continente, se l’orrore scalda sempre meno gli animi e le coscienze, se il cinico è sempre più il nostro mestiere, allora è davvero il caso di fermarci un attimo. E magari rileggere le pagine de “La guerra in casa” per capire quanto il male sia spesso vicino a noi e richieda parole adeguate per essere raccontato. Perché solo quelle parole sono utili a illuminare la melma che sta in fondo al pozzo in qualunque angolo di pianeta nel quale la violenza soffochi i diritti degli esseri umani.
Stefano Tallia, Presidente Ordine dei Giornalisti del Piemonte
(Nella foto Luca Rastello con il presidente dell’Ordine Stefano Tallia
e con Mauro Ravarino, curatore della riedizione de “La guerra in casa”)