Luca Rastello e quel giornalismo che non conosce il “buonsenso”
Il 6 luglio del 2015 ci lasciava Luca Rastello, giornalista e scrittore che non ha mai avuto paura di sfidare il vento. Mi è capitato di ricordarlo nei giorni scorsi con un breve post sulla mia pagina Facebook, voglio rifarlo ora con un ragionamento più articolato, riproponendo un ricordo tratto da un mio vecchio blog e scritto poche ore dopo la sua scomparsa. Come detto una settimana fa a proposito di Gianni Minà, ci sono pagine di giornalismo che non dobbiamo dimenticare per scrivere un futuro migliore per la nostra democrazia.
Il giornalismo non è una professionale neutrale. Solo i senza cuore, i senza anima o i corrotti possono essere capaci di appoggiare gli occhi sul dolore del mondo per poi compitare reportage carichi di buonsenso. Il giornalismo, il vero giornalismo, non conosce il buonsenso. Racconta il fischio delle pallottole e l’odore di bruciato dell’uranio impoverito anche se a sganciarlo sono stati quelli che consideriamo “buoni”.
Il vero giornalismo non si accontenta delle verità ufficiali: chiede conto ai potenti delle loro scelte, si documenta, raccoglie informazioni.
Il vero giornalismo è sconveniente. Non usa parole di circostanza, non prende i politici sottobraccio.
Il vero giornalismo sa utilizzare tutto il vocabolario della lingua italiana, che è più che sufficiente. Niente “road-map” per raccontare un accordo di pace che è una porcata. Una porcata resta una porcata e non servono parole straniere per raccontarla.
Ecco, Luca, Luca Rastello (nella foto con Mauro Ravarino curatore della riedizione de “La guerra in casa”), è stato tutto questo. Credo non abbia fatto in tempo a leggere il rapporto pubblicato proprio nel 2015 dall’Observer sul massacro di Srebrenica, ma tutto sommato non importa molto. Come fossero andate le cose in quel disperato paese e in molte altre parti del mondo, Luca lo aveva capito prima di molti altri e lo aveva anche scritto nella bella prefazione che ha regalato al mio libro “Una volta era un paese”: «Interrogare – piuttosto che sentenziare – è un’operazione che spesso e bene si compie facendo uso delle gambe, mettendosi davvero per strada anziché compulsando, seduti, una tastiera alla ricerca del link illuminante. E però le gambe sono uno strumento sempre meno concesso al giornalista del nostro tempo, nell’evoluzione del sistema informazione».
E allora, è bene continuare a camminare, portando nello zaino tutti i libri e tutte le tue parole di Luca. Perché il giornalismo è raccontare il mondo per cambiarlo. Per renderlo migliore.
Stefano Tallia, Presidente Ordine dei Giornalisti del Piemonte