Gianni Minà e quella vita da giornalista della quale dobbiamo conservare memoria
Ho preso parte alla prima del documentario “Una vita da giornalista” dedicato a Gianni Minà e curato dalla regista e moglie del collega scomparso Loredana Macchietti. Un viaggio di un’ora e mezza nella quale sono ripercorse le mille vite vissute da Minà. A bordo di una Cinquecento, il giornalista torna nella Torino dove mosse i primi passi da giornalista e in quel borgo Filadelfia che ha segnato fin da piccolo la sua passione calcistica per il Toro. Poi, arriva la Roma dei primi incontri con attori, poeti, musicisti e sportivi, raggiunti grazie all’ingresso in Rai. Il documentario racconta bene come l’orizzonte di Minà si sia gradualmente allargato dallo sport alla politica estera, complice quell’episodio che gli ha cambiato la vita.
Argentina ’78, vigilia dei mondiali. Mentre nel paese imperversa la repressione orchestrata dai generali con migliaia di desaparecidos, la stampa internazionale viene invitata alla conferenza stampa celebrativa dell’ammiraglio Carlos Alberto Lacoste che sta organizzando la manifestazione. La mano di Gianni è la sola che si alza per chiedere conto di quanto stia accedendo nel paese, tra la rabbia dei generali e il silenzio imbarazzato della sala. Un gesto di coraggio e di giornalismo che costringerà Minà ad abbandonare il paese per ragioni di sicurezza, caldamente consigliato dalla nostra ambasciata.
Lo stesso gusto per la domanda – pungente ma posta sempre con garbo – che Minà non ha abbandonato in nessuna delle interviste che ha fatto ai grandi della storia. A chi lo rimproverava l’eccessiva condiscendenza nei confronti di Fidel Castro, Minà ricordava di aver fatto al presidente cubano dieci domande sui diritti umani e altrettante sul caso Ochoa e sulle libertà politica nell’isola. Erano i primi anni Novanta, Tangentopoli doveva ancora travolgere tutto e Minà rispondeva a quelle critiche dicendo: “Vorrei che i colleghi che mi attaccano avessero rivolto a Craxi, Andreotti, Forlani lo stesso numero di domande sulle stragi, sui rapporti tra mafia e politica, su Gladio”. E pochi in quell’Italia, purtroppo, potevano dire di averlo fatto.
Giornalismo militante, dirà qualcuno. Giornalismo, invece, con l’auspicio che la Rai, che ha prodotto il documentario, lo proponga nei suoi canali perché di queste belle pagine e di tante belle parole resti memoria.
Stefano Tallia, Presidente Ordine dei Giornalisti del Piemonte