Quelle domande dei ragazzi che interrogano il giornalismo
L’incontro in un liceo dove però in pochi sognano la professione che era la più bella del mondo
Sono tornato dopo molti anni nella mia vecchia scuola, un edificio della periferia nord della città nato come riformatorio femminile verso la fine nell’Ottocento e poi, dopo varie trasformazioni, divenuto una scuola negli anni del baby-boom a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. Un istituto magistrale che, quando divenne autonomo, venne intitolato ad Antonio Gramsci e che dell’esempio dell’intellettuale sardo non ha perso la capacità di formare persone critiche, anche oggi che la scuola ha cambiato nome diventando succursale del liceo scientifico Einstein. Qualcosa, insomma, dello spirito ribelle degli anni passati è rimasto vivo tra quelle mura. L’ho compreso accettando l’invito degli studenti a prendere parte al loro “Laboratorio di democrazia” un’autogestione organizzata di concerto con i docenti durante la quale ragazze e ragazzi allargano i loro orizzonti oltre quanto proposto dai programmi scolastici.
Nel caso del mio incontro si trattava naturalmente di parlare di giornalismo e di informazione. Certo, molto è cambiato da quando nella nostra aula studenti arrivavano ogni mattina tre quotidiani che facevamo a gara a strapparci di mano per essere informati sui fatti del mondo. Oggi l’informazione i ragazzi la apprendono in tempo reale dai loro smartphone, come dagli smartphone guardano i servizi televisivi senza attendere l’ora comandata del telegiornale che scandiva invece le giornate della nostra generazione. Però, sarebbe sbagliato pensare che il loro modo di informarsi sia più superficiale: percorre strade diverse ma arriva al medesimo punto. Esercita la curiosità in maniera nuova ma non rinuncia a farlo.
Lo dimostrano le domande che mi hanno rivolto e che hanno chiesto conto della libertà della quale dispone o meno un giornalista e dell’affidabilità delle notizie nelle quali si imbattono. Una generazione forse più garbata e timida della nostra nel porre le domande, ma comunque attenta. Sono cambiate poi le preoccupazioni e le attenzioni: oggi la tematica ambientale è diventa centrale mentre in altri tempi lo erano questioni più squisitamente sociali, ma non è il caso di fare graduatorie.
Colpiscono ma non sorprendono invece le poche mani sollevate quando ho chiesto loro quanti desiderassero fare il giornalista. Se la curiosità e lo spirito critico sono ancora vivi, lo è molto di meno il desiderio di percorrere una strada lunga e che, già negli anni della scuola, appare come segnata dal precariato. Non ho provato a convincere i ragazzi del contrario raccontando una realtà diversa da quella che è, ma ho compreso ancora di più quanto sia importante impegnarsi perché le condizioni di lavoro e di accesso alla professione tornino ad essere decenti per tutti. Perché senza giornalisti muore anche il giornalismo e con esso la democrazia. Lo dobbiamo anzitutto alle speranze e alle domande dei giovani che credono e si battono per un domani migliore.
Stefano Tallia, Presidente Ordine dei Giornalisti del Piemonte