
Riforma Ordine dei giornalisti, si parte con il piede sbagliato
Assurdo modificare la composizione dei Consigli senza riscrivere le regole della professione
Ad appena una settimana dall’elezione dei nuovi Consigli nazionale e regionale dell’Ordine dei Giornalisti e prima ancora che venga insediato il nuovo presidente nazionale, la Commissione Cultura della Camera ha deciso di avviare l’iter del disegno di legge proposto dall’onorevole Andrea Mascaretti. Un testo il cui tratto saliente è quello di modificare il rapporto tra consiglieri professionisti e pubblicisti negli organismi di rappresentanza a vantaggio di questi ultimi.
Non intendo in questa sede esprimermi sulla quantità di rappresentanti che debbano spettare a ciascuno di due elenchi, né alimentare una sciocca contrapposizione tra professionisti e pubblicisti, i quali rappresentano semplicemente due diversi volti del giornalismo. Ciò che mi preme invece sottolineare è quanto sia illogico determinare le proporzioni negli organismi di autogoverno senza toccare invece il corpo della legge che è quello che definisce la professione giornalistica nella sua essenza. Se è vero, come è vero, che la legge del 1963 non descrive più in nulla il mestiere del giornalista che nel frattempo ha cambiato radicalmente le sue forme, come è possibile stabilire la rappresentanza a partire da categorie definite in quel tempo? Ha ancora senso parlare di professionisti e pubblicisti negli stessi termini del 1963 ? Credo che nessuna persona di buon senso possa sostenerlo.
Provo a fare un altro esempio. Circa un anno e mezzo fa, il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti ha approvato all’unanimità una proposta di riforma che prevedeva, per l’accesso all’esame professionale, non più l’esclusività professionale ma la semplice prevalenza. Se il legislatore dovesse convenire con questa impostazione, gli elenchi professionisti e pubblicisti cambierebbero notevolmente. In questo modo, per altro, si accentuerebbe una mutazione già avvenuta con l’attuazione della norma sul “ricongiungimento” che ha permesso a molti pubblicisti che esercitavano in forma esclusiva la professione giornalistica di accedere all’esame di stato. Si tratta di un processo che, se da un lato ha permesso a centinaia di persone di ottenere un inquadramento ordinistico coerente con la professione svolta, dall’altro ha riservato l’elenco dei pubblicisti esclusivamente a quei giornalisti che esercitano a tempo parziale e minoritario (da un punto di vista economico e del tempo) la professione giornalistica. Non solo. Come noto, dopo quindici anni di iscrizione, non è più consentito ai Consigli regionali dell’Ordine di verificare l’effettiva prosecuzione dell’attività da parte del tesserato, una disposizione di legge anch’essa vecchia di sessant’anni e che ha tramutato l’iscrizione all’Ordine dei Giornalisti in una sorta di “vitalizio” che non ha eguali negli altri ordini professionali. Il risultato è che già oggi è ragionevole supporre che tra gli iscritti vi siano centinaia di persone che non conservano più alcun rapporto, neppure occasionale, con la professione e il numero impressionante di persone che non si sono mai affacciate all’obbligo della formazione è lì a dimostrarlo.
È quindi giusto modificare gli organismi di rappresentanza riducendo il peso di coloro che svolgono in prevalenza la professione ? Al tempo stesso, come dare risposta alle aspettative di una categoria, quella dei pubblicisti, che rappresenta la maggioranza degli iscritti ?
Sono questioni complesse che non possono essere risolte intervenendo con il bilancino sul numero dei seggi nei Consigli. È necessaria anzitutto una definizione della professione giornalistica che tenga conto dei cambiamenti intervenuti dal 1963 ad oggi: in una parola, la riforma. Solo a valle di questa trasformazione sarà logico pensare alla composizione degli organismi e mi auguro che questa possa essere la strada seguita dal Parlamento. L’informazione in Italia ha bisogno di riforme strutturali, non di interventi spot destinati solo ad alimentare polemiche e confusione.
Stefano Tallia
Presidente Ordine dei Giornalisti del Piemonte