L’umiliante classifica di Rsf e le riforme che non si possono rinviare
L’Italia perde altre cinque posizioni nella graduatoria sulla libertà di stampa
Nell’ultimo numero del mio Diario avevo scritto dei rischi che corre il diritto all’informazione nel nostro paese e puntuale, nella giornata dedicata alla libertà di stampa, ne è arrivata la certificazione con la classifica di Reporters Sans Frontieres che ci ha fatti precipitare dal quarantunesimo al quarantaseiesimo posto della graduatoria mondiale. Un numero che, al di là della diversa valutazione che può essere data ai singoli fattori che lo determinano, dimostra come in Italia esistano vari problemi da affrontare e da risolvere.
Nei giorni in cui i giornalisti della Rai, tra i quali il sottoscritto, sono tornati a scioperare anche per chiedere che venga allentata la morsa della politica sull’azienda, è impossibile non puntare l’attenzione proprio sulla condizione del servizio pubblico radiotelevisivo. Come ha scritto giustamente l’assemblea della redazione di Torino nel documento approvato a larghissima maggioranza, «da decenni la Rai è ostaggio del governo di turno, a causa di un meccanismo di governance che consegna di fatto la nomina dei direttori delle testate dell’azienda a chi vince le elezioni. Un sistema che è stato ulteriormente peggiorato dagli esecutivi dell’ultimo decennio e di cui assistiamo, anche nelle cronache di questi giorni, ad effetti sempre più evidenti. Le giornaliste e i giornalisti della redazione della Tgr Piemonte attendono, insieme ai colleghi di tutta l’azienda, da troppo tempo una riforma che elimini i condizionamenti esterni imposti dai partiti all’attività quotidiana dai cronisti».
Parole chiare che vanno al di là della contingenza politica del momento e che dovrebbero convincere una classe dirigente responsabile a sedersi immediatamente intorno a un tavolo per scrivere una riforma che renda impossibile la conquista del servizio pubblico da parte della maggioranza di turno. Ma anche l’altra vicenda che sta tenendo banco nel mondo dell’informazione, vala a dire quella relativa alla possibile acquisizione della seconda agenzia di stampa nazionale da parte di un gruppo economico facente capo a un deputato della maggioranza, pone problemi simili.
È di una riforma complessiva dell’editoria che il nostro paese avrebbe bisogno per recuperare posizioni in quella graduatoria che tiene l’Italia molto lontana dagli altri paesi europei e invece pericolosamente vicina a nazioni i cui modelli di governo non sono certo esempi di democrazia.
Ma come cambiare la legislazione? Oltre alla riforma della governance del servizio pubblico, servirebbe una legge che renda impossibili o quantomeno limiti i conflitti di interesse per quei soggetti che ricoprono incarichi pubblici e possiedono anche la proprietà di aziende editoriali. Poi, sarebbe utile una legge che punisca l’utilizzo delle querele temerarie e al tempo stesso definisca in maniera chiara e inequivocabile, in materia di presunzione d’innocenza, il momento dell’azione giudiziaria nel quale gli atti possono divenire pubblici. E infine sarebbe indispensabile completare il percorso legislativo che impone alle grandi piattaforme che distribuiscono i contenuti di versare parte dei loro introiti a chi i contributi li produce, vale a dire le aziende editoriali.
Sono queste le cose che ho detto anche ai ragazzi delle scuole superiori torinesi chiudendo con Giancarlo Caselli il ciclo di incontri sull’educazione civica che ha impegnato l’Ordine dei Giornalisti insieme con le altre istituzioni regionali: quella classifica sulla libertà di stampa riguarda il futuro di tutte le cittadine e i cittadini e nessuno può sentirsene estraneo.
Stefano Tallia, Presidente Ordine dei Giornalisti del Piemonte