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GIORNALISTI

03/01/2024

Carcere, riscatto e racconto dei media in un libro di Marina Lomunno

«Ho scritto questo libro con un obiettivo: non raccontare i retroscena ma le motivazioni dei delitti minorili, tutto quello che c’è dietro, le famiglie, il rapporto con i genitori». Queste sono le parole di Marina Lomunno, giornalista, coordinatore redazionale del settimanale diocesano di Torino La Voce e il Tempo. Il suo libro si intitola E-mail a una professoressa. Come la scuola può battere le mafie ed è una raccolta di testimonianze e riflessioni sulla scuola scritte da persone che hanno vissuto il carcere, che collaborano con la giustizia e che, grazie all’istruzione, hanno ricostruito la propria esistenza. La scuola senza muri fisici e senza mura culturali. La scuola come principale e indispensabile strumento per sconfiggere la criminalità di stampo mafioso. Pagine importanti per chi si occupa di carcere, ma anche per chi lavora nell’ambito scolastico. Imprescindibili per chi ha in carico minori e persone disagiate.

«Se non aggiustate la scuola la camorra vincerà sempre perché la camorra ha paura della scuola: la camorra vive nel silenzio, la scuola insegna le parole». Queste parole dal libro ben racconto l’intento dell’autrice, il suo interesse per il carcere, già mostrato in un precedente libro: Il cortile dietro le sbarre: il mio oratorio al Ferrante Aporti, dove Lomunno è stata in dialogo con don Domenico Ricca, salesiano, da 35 anni cappellano al carcere minorile di Torino. Un ampio libro intervista capace di raccogliere le memorie personali del cappellano del carcere minorile torinese inserite nella vasta storia dell’istituzione carceraria minorile. Ne emerge un quadro vivo, toccante pur nella più totale discrezione dovuta, perché sono storie di ragazzi e di adolescenti che hanno bisogno di crescere senza esposizioni mediatiche inutili e dannose. Un libro che ha reso omaggio a san Giovanni Bosco nel bicentenario della nascita: «Per don Bosco – spiega l’autrice – le visite alle carceri furono importantissime, nella scelta di privilegiare in ogni modo i poveri e gli emarginati».

Lomunno ha seguito vome giornalista la cronaca del carcere, sia adulto che minorile, tenendo anche una rubrica sul tema, ma soprattutto mettendo sempre in evidenza, dice «l’importanza delle parole, dello studio e dell’educazione, lo stare vicino ai ragazzi fragili, l’importanza di parlare ai giovani e l’importanza di farlo attraverso la scuola, con il sostegno di insegnanti educatori non giudicanti».

L’introduzione al libro è di Maria Teresa Pichetto, professore ordinario di Storia del pensiero politico presso la Facoltà di Scienze politiche di Torino, «che ha contribuito – spiega Lomunno – ad assicurare il diritto allo studio, spingendole Facoltà di Scienze politiche e di Giurisprudenza di Torino a istituire nel 1998 il Polo universitario per studenti detenuti. Il numero dei detenuti che hanno studiato al Polo in questi vent’anni, e quello di coloro che si sono laureati con ottimi risultati, la recidiva zero di coloro che qui hanno studiato e hanno scontato la pena, la possibilità di reinserimento sociale che hanno ottenuto attraverso il lavoro, hanno confermato che un altro carcere è possibile».

La recidiva in effetti è uno dei problemi maggiori, oltre alla mancanza di personale e al sovraffollamento: «Il messaggio che vorrei lanciare è che senza studio e senza prendere coscienza di quanto è importante il tempo messo a frutto, le mafie vinceranno sempre. La soglia tra chi è dentro e chi è fuori talvolta è sottilissima, è possibile cadere, siamo umani e fragili, ma è possibile anche rialzarsi, proprio perché lo spartiacque è spesso molto labile», commenta Lomunno.

Uno dei temi centrali del libro per cui è quello di «ripensare l’utilità della detenzione minorile, anche per coloro che arrivano giovanissimi in Italia, non accompagnati, senza capire la lingua. È necessario ripensare le opportunità esistenti e continuare a cercarne sempre di nuove», continua Lomunno.

Lomunno infine fa un passaggio su quanto e come si stiano trattando le tematiche del carcere con diversi approcci: «Mare fuori ha portato alla ribaltata il tema dei minori in carcere, anche se è chiaramente una fiction romanzata, perché non stanno bene dentro i giovani. Per quanto riguarda i media, spesso la rappresentazione che si fa è quella dei delitti efferati, dei suicidi, delle risse, non c’è quasi mai una narrazione positiva, per esempio sul grande lavoro che fanno i tanti volontari, oppure il racconto di storie di riscatto; il carcere viene spesso sbattuto in prima pagina e le buone notizie si perdono in un mare di problemi».

Nel discorso media rientra anche un passaggio sul premio Morrione, che proprio in questa ultima edizione ha visto un racconto sul carcere nell’inchiesta finalista Chi li ascolterà?, di Selena Frasson e Claudio Rosa, tutor Pietro Suber: «È stata una bella inchiesta – conclude Lomunno – perché ha rotto il muro di diffidenza con i ragazzi, ma anche con chi si occupa di loro, ha allontanato il pregiudizio e ha rimesso al centro un pezzo di umanità, che tutti abbiamo dentro».

Eugenio Giannetta

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