ernesto ferrero
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01/11/2023

Quel soldato sabaudo che amava i giornalisti

Nicola Gallino, per anni capo della comunicazione del Salone del Libro, ricorda Ernesto Ferrero

Ernesto Ferrero è scomparso martedì 31 ottobre 2023 all’età di 85 anni. Scrittore, editore, Premio Strega 2000 con “N.”, è stato per 18 anni, dal 1998 al 2016, direttore editoriale del Salone Internazionale del Libro di Torino.

Con Ernesto Ferrero ho lavorato al Salone del Libro dal 1999 al 2016: l’intero periodo in cui, assieme all’altro ammiraglio Rolando Picchioni, lo ha salvato dalle bordate di Milano e innalzato all’onore del mondo.

Il Salone allora era un tritacarne buono, un gigante gentile da oltre 3.000 giornalisti accreditati. Al di là dell’organizzazione della macchina, su cui comunque era informatissimo – gestire i rapporti del direttore Ferrero con la stampa era sorprendentemente semplice. Primo, perché tutti gli volevano bene. Non aveva praticamente nemici, nemmeno fra gli invidiosi. Il suo fair play e la sua moderazione erano il contraltare diplomatico alla spigolosa irruenza di Picchioni, una Ferrari performantissima ma con cui invece era facile andarsi a schiantare. Ernesto non ha mai litigato con un giornalista. Non ha mai mandato a quel paese nessuno, né rifiutato un’intervista. Se le organizzava lui, anzi. Da solo si gestiva un’agenda ai limiti dell’ubiquità. Con lui virgolettati o comunicati stampa non servivano. Direttori e capiredattori dei maggiori quotidiani spalancavano volentieri le pagine al suo prestigio e alla sua penna felice. A parlare in prima persona erano i suoi elzeviri, interventi, talora paginate intere. Che si trattasse di raccontare un pezzo di programma, difendere la kermesse dai sempiterni amici del giaguaro o da chi semplicemente inzigava per avere lo scoop e rifilare il buco alla concorrenza.

Ferrero aveva portato al Salone la sua tempra einaudiana di uomo-macchina. Chissà Primo Levi a quale degli elementi chimici lo avrebbe associato, nel suo Sistema periodico. La sera, quando anche gli ultimi stakanovisti della Fondazione per il Libro passavano per il suo ufficio a salutarlo prima di tornare a casa, era abitudine trovarlo fra l’ombra e il cono luminoso della sua lampada da tavolo, chino sul portatile a battere rapidissimo qualcosa con due dita. Aveva una capacità sovrumana di tenere insieme via mail la rete dei millanta rapporti grazie a cui il miracolo del Salone riusciva a ripetersi ogni anno. Carteggi elettronici con scrittori ed editori, intellettuali e diplomatici, giornalisti e istituzioni. Archivii digitali che solo pochi anni prima sarebbero diventati inestimabili tesori di carta per scrivere la storia, e che oggi sono cancellati per sempre dall’oblio della riformattazione. Le mail le siglava semplicemente “E.”, quasi un sardonico contrappasso rispetto alla volitiva “N.” dell’ammirato Empereur che gli portò in dono il Premio Strega.

L’ultima cosa che al termine della giornata si teneva, prima di chiudere a chiave la Fondazione e tornare nella sua casa di Corso Casale dove abitò anche Emilio Salgari, era quasi sempre qualche articolo. Per La Stampa o altro. Lo materializzava a tempo di record, picchiettando sulla tastiera con lucidità pitagorica, e lo spediva in redazione appena in tempo per chiudere la pagina con sollievo dei desk.

Periodicamente, poi, ricorrevano altre sere – a volte anche notti – in cui lo stesso miracolo si ripeteva con diversa transustanziazione. La vigilia di ogni conferenza stampa, quando alla corposissima cartella del Salone mancava solo più il blocco principale: il suo, che chiudeva e mi inviava soltanto in extremis perché fosse aggiornato alle ultimissime. Con una modestia impiegatizia e un culto sabaudo per il «lavoro fatto bene» che sembravano usciti dalla Chiave a stella, mi pregava di fargli l’editing. Quel honneur, pensate! Correggere le virgole e i refusi al Premio Strega, al vicino di scrivania di Italo Calvino. Caro maestro, mancherai a tanti. Anche fra i giornalisti.

Nicola Gallino

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