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18/05/2023

Il mondo di carta, come è cambiato il giornalismo secondo Giancarlo Tartaglia

Nel corso dell’edizione 2023 del Salone del Libro di Torino, che si svolgerà dal 18 al 22 maggio, la Fondazione Murialdi sarà presente con i volumi pubblicati da All Around. Venerdì 19 alle 16, nel Padiglione Oval stand t78, sarà presentata la recente ricerca di Giuseppe Marchetti Tricamo e Giancarlo Tartaglia “Il mondo di carta. La straordinaria avventura del libro e del giornale da Gutenberg a Bernes-Lee. Dai caratteri mobili all’era digitale”

A parlare del volume ci saranno Alberto Sinigaglia, presidente del Polo del ‘900 e Giancarlo Tartaglia, segretario generale della Fondazione Murialdi e già direttore della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, che abbiamo intervistato.

Il suo libro presenta il profilo di editori di libri, riviste e quotidiani che hanno resistito alle mutazioni dei mercati e, passati attraverso ristrutturazioni societarie, sono arrivati fino ai nostri giorni. Questa pubblicazione racconta le storie ufficiali e personali e i vezzi di grandi editori e di grandi giornalisti, quali Arnoldo Mondadori, Angelo Rizzoli, Valentino Bompiani, Edilio Rusconi, Livio Garzanti, Leo Longanesi, Mario Pannunzio, Indro Montanelli, Eugenio Scalfari e altri. Come sono cambiate le cose nel giornalismo rispetto ai nomi citati nel suo libro?

Quello che è cambiato nel lavoro giornalistico è soprattutto lo sviluppo tecnologico. Il giornalista storicamente è la figura di chi è presente a un avvenimento e descrive al pubblico quello che ha visto, mentre oggi lo sviluppo tecnologico determina un flusso diverso di informazioni tra diversi canali, per cui il giornalista è il tramite tra la massa di informazioni e il pubblico; questo è un elemento di cambiamento sostanziale perché prima il lettore leggeva un articolo di chi aveva visto, mentre oggi legge un articolo di chi ha mediato, fermo restando che continuano a esserci nel mondo del giornalismo gli inviati.

Quali sono secondo le le nuove frontiere della professione giornalistica?

Il problema è sempre quello, ovvero il rapporto tra pubblico e giornalista. Quello che oggi spetta al giornalista è il controllo delle fonti, sempre più difficile, ma la credibilità è proprio questo, cioè il controllo delle fonti, quindi anche i giornali devino attrezzarsi per avere un numero tale di giornalisti che verifichi le fonti, garantendo al pubblico il rispetto deontologico.

L’intelligenza artificiale che ruolo gioca in tutto questo?

Gli editori tendono a utilizzare sistemi di AI perché consente loro un risparmio produttivo, ma dobbiamo tenere presente che per quanto intelligente sia la AI lavora su dati conosciuti nella rete, quindi su materiale già esistente, quindi certamente può aiutare giornalista nella ricerca dei dati, ma al giornalista resterà sempre il compito di verificare, per cui al momento vedo un uso solo parziale e marginale della AI nel giornalismo.

Lei ha insegnato diritto del lavoro giornalistico: ci sono due temi attuali di dibattito. Il primo riguarda le maggiori tutele e regolamentazioni per i collaboratori, l’altro invece riguarda la regolamentazione delle intelligenze artificiali all’interno delle redazioni. E poi ci sono le nuove professionalità, come per esempio i social media manager che lavorano nei giornali e dovrebbero comunque avere una formazione giornalistica.

La direzione non è univoca, perché ci sono interessi contrapposti: da una parte la categoria tende a occupare questi spazi, con nuove figure che inevitabilmente devono essere portate nell’ambito del lavoro giornalistico, ma da parte degli editori c’è la tendenza a escludere queste prestazioni, perché si tende a marginalizzare il lavoro giornalistico che ha un costo maggiore e ha un livello di autonomia maggiore che in qualche modo limita l’imprenditore. Lo sviluppo tecnologico inoltre consente un’utilizzazione del lavoro autonomo, che incide ulteriormente. I dati in questo sono abbastanza chiari e indicano che i giornalisti iscritti all’Inpgi, oggi Inps come subordinati sono tra i 10 e i 15 mila, mentre gli autonomi sono circa 45 mila, quindi la sproporzione è evidente.

Il suo blog si apre con una citazione di Thomas Jefferson: “La nostra libertà dipende dalla libertà di stampa, ed essa non può essere limitata senza che vada perduta”. Come commenta la posizione dell’Italia nella classifica sulla libertà di stampa?

Il lavoro da fare è ancora tanto, ma dobbiamo valutare che queste classifiche sono determinate da una serie di elementi diversi da Paese a Paese. Per esempio la legislazione italiana prevede la condanna al carcere per il giornalista in caso di diffamazione evidente e questo probabilmente determina l’abbassamento in classifica, anche se noi sappiamo che il giornalista difficilmente in Italia andrà in galera per l’esercizio della professione, anche perché di fatto la Cassazione ha eliminato questa possibilità.

Altro problema è quello delle “querele temerarie”.

La categoria, attraverso Sindacato, Fnsi e ordinamento professionale si batte da anni su questo tema. È un problema che va risolto, ma c’è refrattarietà a intervenire da parte del potere politico, perché il potere sente di avere questa arma. Credo però che siamo a punto di svolta.

Cosa ne pensa dell’aggiornamento per l’accesso all’esame di Stato da giornalista, con la revisione della sul praticantato?

Il problema è che questo marchingegno legislativo è stato creato nel 1963. Quella legge fotografava la realtà editoriale di quel periodo, ma oggi la realtà è mutata, quindi l’accesso alla professione è stato modificato attraverso l’interpretazione della norma di legge. Faccio un esempio: noi abbiamo le scuole di giornalismo, da cui si esce come praticanti, ma tutto questo non è previsto dalla legge. Per le scuole è stato perciò creato un meccanismo che prevedesse all’interno delle stesse una testata registrata nella quale gli iscritti diventano di fatto praticanti, non in quanto iscritti ma in quanto reali praticanti. Credo perciò che sia giusto interpretare e adeguare le norme di legge laddove sia necessario per adeguarsi alla realtà in cui viviamo e siamo immersi.

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