
La guerra potrebbe rafforzare la censura del regime
L’appello alla solidarietà del giornalista dissidente iraniano Hadi Keykawosi
Hadi Keykawosi, scrittore e giornalista nato a Teheran nel 1978, ha dovuto abbandonare l’Iran dopo le elezioni del 2009 e ha ottenuto asilo politico in Italia. Negli anni di lontananza dal suo paese ha continuato a fare il giornalista scrivendo per testate come Bbc Persian, Indipendent Farsi e Iran International. Di suo, oltre a svariati articoli, sono stati pubblicati due libri di racconti e un romanzo che riguarda proprio le vicissitudini iraniane. È lui a tratteggiare un quadro realistico quanto triste delle condizioni della stampa nel paese degli ayatollah, uno stato nel quale vige una rigida censura in queste ore aggravata dal conflitto.
Gli iraniani devono infatti fare i conti con il regime che, oltre alla diffusione della consueta propaganda, limita anche l’accesso alla rete: «Come in tutte le guerre – ci racconta Keykawosi – le informazioni sono controllate dal potere e il regime islamico ha acquisto negli anni la capacità di manipolare la realtà in suo favore. Questo l’ho potuto verificare anche di persona, ad esempio quando lavoravo nel sud dell’Iran in una zona controllata dall’intelligence. Mi è successo varie volte di ricevere telefonate con le quali mi si chiedeva espressamente di censurare alcuni argomenti. I giornalisti che lavorano in Iran sono perennemente sottoposti alla pressione del regime. Per citare ancora la mia esperienza, uguale a quella di centinaia di altri colleghi, nell’estate del 2004 ricevetti un avvertimento quando, dopo il devastante terremoto di Bam, mi recai sul posto per documentare la rimozione delle macerie e dei cadaveri. Il secondo avvertimento mi arrivò perché avevo semplicemente scritto un articolo su una buca nell’asfalto in una via della mia città. Il terzo avvertimento non fu più solo telefonico: arrivarono in macchina e mi portarono nell’ufficio dei servizi segreti dove subii un vero e proprio interrogatorio. La quarta volta mi arrestarono, la quinta non ci fu perché lasciai il Paese».
Un controllo capillare dell’informazione che fa sì che il popolo non si fidi più delle fonti ufficiali e si rivolga in gran parte ai media della diaspora e a social come X e Instagram. A questa situazione va poi aggiunto che due tra i più importanti canali informativi basati all’estero, “Voice of America” e “Radio Free Europe”, hanno subito una riduzione drastica nell’organico a causa dei tagli voluti dall’amministrazione Trump.
Al fondo resta però la fiducia che la fine del regime possa essere vicina: «Il popolo iraniano da molti anni è pronto per il grande cambiamento, la società civile è stanca di subire la repressione e di vivere sempre più in povertà a causa di un regime che ha impostato le sue politiche sull’espansione e sul finanziamento dei conflitti con altri paesi».
Un aiuto a quanti in Iran combattono per la libertà potrebbe arrivare anche dalla comunità dei giornalisti: «Mario Vargas Llosa – conclude Keykawosi – ha detto che il giornalista deve stare dalla parte giusta, così come il romanziere che deve raccontare i suoi tempi con una visione ampia. I narratori devono essere allora la voce di chi non ce l’ha e devono stare lontani da quanti diffondono il verbo dei dittatori. So che è difficile, ma l’arte del giornalista sta proprio nel ricercare e nel trovare la verità». Un appello che sarebbe importante non lasciare cadere nel vuoto.