
L’informazione alla Casa Bianca ai tempi di Trump
Il piemontese Daniele Compatangelo nominato presidente del gruppo dei corrispondenti esteri
Negli ultimi anni, nei corridoi della Briefing Room della Casa Bianca è avvenuto un cambiamento silenzioso ma destinato a lasciare un segno. A maggio del 2025, insieme a decine di colleghi, ho fondato il White House Foreign Media Group (WHFMG), un’organizzazione eletta democraticamente, nata per rappresentare in maniera strutturata la stampa estera accreditata alla Casa Bianca.
Oggi, il gruppo riunisce oltre cinquanta testate internazionali, tra cui Corriere della Sera, LA7, Sky Tg24, Sky News Arabia e Australia, Al Jazeera Online, CBC Canada, i canali israeliani Channel 14, i24 News, poi Nippon TV, Kyodo News, Asahi Shimbun, l’agenzia turca Anadolu, e quella polacca PAP, e numerose altre testate europee, africane e sudamericane. Una comunità ampia, professionale e pronta a lavorare in modo coordinato.

Perché nasce il WHFMG: rappresentanza e trasparenza
Per anni, l’accesso della stampa estera nello Studio Ovale è stato controllato da un piccolo gruppo di corrispondenti stranieri che, di fatto, gestiva in modo arbitrario un vero e proprio monopolio sulla stampa estera, decidendo unilateralmente quale collega poteva accedere al Presidente. Questa dubbia procedura è sempre stata indipendente dall’amministrazione americana in carica. Il gruppetto in questione, guidato dalla corrispondente di Al Arabiya, la televisione di Stato saudita, insieme alla corrispondente della brasiliana TV Globo, aveva mantenuto per oltre dieci anni un sistema chiuso, basato su dinamiche interne e rapporti personali che escludevano molti altri colleghi qualificati. Con la nascita del WHFMG questo sistema è arrivato al capolinea. E la reazione, da parte di chi per anni aveva controllato l’accesso allo Studio Ovale, non è stata priva di tensioni.
Una rivoluzione silenziosa accolta anche dalla Casa Bianca
La Casa Bianca già verso la fine dell’amministrazione Biden e poi con l’inizio di quella di Trump, ha riconosciuto la necessità di un cambiamento nella WHCA, la White House Correspondent Association, l’associazione dei colleghi americani che ha in mano il controllo del pool di giornalisti statunitensi che accede al Presidente, e che non si è mai preoccupata fino in fondo di assicurarsi che il pool dei corrispondenti stranieri, fosse gestito in modo chiaro e trasparente. Oggi il WHFMG, il gruppo di cui sono presidente e la WHCA lavorano fianco a fianco, e abbiamo ristabilito un equilibrio più sano, garantendo pluralismo, professionalità e accesso equo per tutti. La Briefing Room della Casa Bianca, non è più soltanto un luogo di passaggio per realizzare dirette o scrivere articoli in velocità: è diventata uno spazio di dialogo, confronto e collaborazione tra corrispondenti provenienti da ogni parte del mondo. Il WHFMG è oggi un interlocutore riconosciuto dall’ufficio stampa presidenziale. La collaborazione, professionale e diretta con la portavoce del Presidente e con lo staff dell’ufficio stampa presidenziale, ha permesso di strutturare un nuovo sistema di dialogo per la stampa internazionale, mai esistito prima in forma così organizzata. Per la prima volta, la stampa estera ha una voce unica, votata democraticamente dai suoi membri e capace di rappresentarne le reali necessità operative.
Questo cambiamento non è pero stato indolore per chi vi scrive. Dall’avvio del gruppo, nel maggio del 2025, sono infatti diventato bersaglio di attacchi mirati. Sono stato accusato ingiustamente di plagio, nel tentativo di screditarmi professionalmente e delegittimare la nuova organizzazione. In un episodio particolarmente significativo, la mia pagina wikipedia è stata manomessa per affermare che non fossi un vero giornalista e che la voce stessa fosse “inventata”; poco dopo, la pagina è stata cancellata definitivamente senza una chiara giustificazione. Secondo verifiche tecniche successive, che ho reso pubbliche, l’origine degli attacchi informatici risultava riconducibile a connessioni provenienti dall’Arabia Saudita e dal Brasile: una coincidenza non da poco, considerando l’origine dei principali giornalisti oppositori del White House Foreign Media Group.
Oggi il ripristino della pagina Wikipedia non è semplice, ma stiamo lavorando per ricostruirla su basi documentate e corrette. Questi episodi rappresentano solo una parte delle pressioni ricevute da quei colleghi che non hanno voluto accettare un cambiamento necessario, ma alla fine il buon senso ha prevalso e da oltre sei mesi, il WHFMG ha unito la stampa straniera che anche tramite una chat e una mail list scambia informazioni e off the record importanti per il pubblico che serviamo.

Fare giornalismo alla Casa Bianca sotto Donald Trump
Interagire con il Presidente Trump è un’esperienza complessa e professionalmente impegnativa perché è molto diverso dai Presidenti ai quali siamo stati abituati per anni. Trump è diretto, spontaneo, imprevedibile: non un politico tradizionale, ma un comunicatore istintivo che ama testare le capacità dialettiche di chi gli pone domande e anche contraddire le fondamenta della domanda che si pone.
Sono stato dentro lo Studio Ovale e ho parlato con il Presidente in carica in molte occasioni e posso dire che ogni volta è un’avventura perché non si può prevedere “l’outcome” della domanda e della reazione. Nel tempo, ho imparato a calibrare le domande più delicate, su Gaza, Ucraina, Venezuela, economia o tensioni istituzionali, imparando come si devono porre le domande al Presidente e il peso che hanno le parole nel nostro mestiere. Trump non ha mai nascosto la sua impazienza verso le domande che considera “stupide”. Le sue risposte, spesso taglienti, richiedono preparazione, sangue freddo e grande capacità di sintesi.
Dal momento che ogni mondo è paese, non nego che alcuni colleghi della stampa americana, spesso tendono a fare domande provocatorie e irritanti per il Presidente per motivi squisitamente politici. Alla fine questi scontri provocano solo grandi titoli sui giornali americani e tanto gossip anche da noi, ma in fondo non fanno molta informazione per il pubblico a casa. In ogni modo, non sta a me giudicare il lavoro dei colleghi, e ho voluto solo condividere alcuni episodi ai quali ho assistito in prima persona.
Tra le molte domande che ho fatto a Trump, quelle riprese a livello internazionale, sono state quella rivolta al Presidente sulla sua aspirazione al Premio Nobel per la Pace durante l’incontro con il Presidente finlandese, ricordandogli che Obama lo aveva ricevuto per molto meno e gli ho chiesto un commento (qui ho rischiato il confronto diretto ma era una domanda che doveva essere fatto per diritto di cronaca), o quella sulla “Axis Of Evil” nella corsa all’AI e il suo impiego a livello militare, riferito all’asse Cina, Russia e Iran. Risposte che hanno alimentato un dibattito globale e che sono stato rilanciate da centinaia di testate in tutto il mondo.
Un mestiere sotto pressione
Gli Stati Uniti stanno vivendo una fase di profonda polarizzazione politica e culturale. Durante la mia esperienza personale, oltre quindici anni di corrispondenze dagli Stati Uniti prima a Los Angeles con Mediaset e poi da Washington con Mezz’Ora In Più e poi con LA7, non avevo mai assistito a un livello simile di ostilità tra democratici e repubblicani. In questo clima, il lavoro del giornalista, soprattutto se straniero, è diventato più complesso: ogni domanda può finire al centro di un ciclone mediatico e ogni parola può essere strumentalizzata. Eppure, nonostante le pressioni, continuiamo a svolgere il nostro ruolo con responsabilità e rigore. La nascita del WHFMG White House Foreign Media Group ne è la dimostrazione più evidente: un gruppo unito, democratico, trasparente, che afferma il diritto e il dovere della stampa estera di essere parte integrante del racconto politico dal cuore dell’amministrazione americana.
di Daniele Compatangelo, Presidente del White House Foreign Media Group
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Inside the White House: WHFMG, the Silent Revolution of the Foreign Press
By Daniele Compatangelo, President of the White House Foreign Media Group
In recent years, a quiet but consequential shift has taken place in the corridors of the White House Briefing Room. In May 2025, together with dozens of colleagues, I founded the White House Foreign Media Group (WHFMG), a democratically elected organization created to give structured representation to the foreign press accredited at the White House.
Today, the group brings together more than fifty international news outlets, including Corriere della Sera, LA7, SkyTg24, Sky News Arabia and Sky News Australia, Al Jazeera Online, CBC Canada, Israel’s Channel 14 and i24 News, plus Nippon TV, Kyodo News, Asahi Shimbun, the Turkish agency Anadolu, the Polish agency PAP, and many others from across Europe, Africa, and South America. It is a large, professional community now equipped to operate in a coordinated manner.
Why the WHFMG Was Founded: Representation and Transparency
For years, access for foreign journalists to the Oval Office was controlled by a small group of correspondents who had effectively established a monopoly, unilaterally deciding which foreign reporters could enter the President’s office. This questionable system was entirely independent of whichever U.S. administration was in power.
For more than a decade, this group, led by the correspondent for Saudi state broadcaster Al Arabiya and the correspondent for Brazil’s TV Globo, maintained a closed system based on internal dynamics and personal relationships, excluding many qualified colleagues. With the creation of the WHFMG, that system has come to an end. And the reaction from those who had long controlled access to the Oval Office has not been without tension.
A Silent Revolution Welcomed by the White House
Toward the end of the Biden administration, and even more so with the beginning of President Trump’s, the White House acknowledged the need for change within the WHCA, the White House Correspondents’ Association, which oversees the American press pool. The WHCA had never fully ensured that the foreign press pool was being managed in a transparent and equitable way.
Today, the WHFMG, which I chair, and the WHCA work side by side. Together we have restored a healthier balance, guaranteeing pluralism, professionalism, and fair access for all. The White House Briefing Room is no longer just a pass-through space for live shots or rapid-fire reporting: it has become a place for dialogue, exchange, and collaboration among correspondents from all over the world.
The WHFMG is now formally recognized by the presidential press office. Our direct and professional cooperation with the Press Secretary and the communications staff has enabled the creation of a new, structured system of engagement for the international press, something that has never existed in such an organized form. For the first time, foreign correspondents have a unified, democratically elected voice capable of expressing their real operational needs.
Personal Backlash and Targeted Attacks
This transition has not been painless for me personally. Since the group’s launch in May 2025, I have become the target of coordinated attacks. I was falsely accused of plagiarism in what appeared to be an attempt to discredit me professionally and delegitimize the new organization.
In one notable episode, my Wikipedia page was tampered with to claim I was not a real journalist and that the entry itself was “invented.” The page was then deleted entirely without clear justification. Technical analyses I later made public traced the origin of the cyberattacks to connections in Saudi Arabia and Brazil, an unlikely coincidence given the national affiliations of the main opponents of the WHFMG.
Restoring the Wikipedia page is still difficult, but we are working to rebuild it on accurate, documented grounds. These incidents represent just part of the pressure exerted by colleagues unwilling to accept a necessary change. Yet common sense ultimately prevailed: for more than six months, the WHFMG has united the foreign press, which now communicates through an active chat and mailing list to share information and off-the-record insights essential for the audiences we serve.
Reporting from the White House Under Donald Trump
Engaging with President Trump is a complex and professionally demanding experience; he is markedly different from previous presidents. Trump is direct, spontaneous, and unpredictable, not a traditional politician but an instinctive communicator who enjoys testing the rhetorical skills of those questioning him, and even challenging the premise of the question itself.
I have been inside the Oval Office many times and spoken with the President on several occasions. Each encounter is an adventure: one can never predict the outcome of a question or his reaction. Over time, I have learned to calibrate delicate questions on Gaza, Ukraine, Venezuela, the economy, or institutional tensions, and to understand how wording shapes our profession. Trump has never hidden his impatience with questions he deems “stupid.” His sharp responses require preparation, composure, and strong command of language.
As in any country, some members of the American press often ask provocative, politically charged questions that irritate the President. These confrontations generate major headlines in the U.S. and plenty of gossip abroad, but they do not always provide real information to the public. It is not my role to judge my colleagues; I merely want to share some of the episodes I have witnessed firsthand.
Among the many questions I have posed to Trump, those that gained international traction include the one about his aspiration to win the Nobel Peace Prize during a meeting with the Finnish President, reminding him that Obama received the prize “for far less,” and asking for his reaction. It was a risky question but necessary as a matter of record. Another was about the “Axis of Evil” in the race for AI and its military use, referring to China, Russia, and Iran. His responses fueled global debate and were picked up by hundreds of outlets worldwide.
A Profession Under Pressure
The United States is experiencing a period of deep political and cultural polarization.
In over fifteen years reporting from the U.S., first in Los Angeles for Mediaset, then in Washington for RAI Tv Mezz’Ora In Più and later for LA7, I had never witnessed such intense hostility between Democrats and Republicans.
In this climate, the job of a journalist, especially a foreign correspondent, has become more complex: any question can trigger a media storm, and every word can be weaponized. Yet despite the pressures, we continue to perform our role with responsibility and rigor.
The creation of the White House Foreign Media Group is the clearest proof of this commitment: a united, democratic, transparent organization that affirms the right and duty of the foreign press to be an integral part of political reporting from the very heart of the American administration.
