Maiorella: «Un giornalista lo è sempre ed è a garanzia dei lettori»
In Italia 1,4 milioni di minori vivono in povertà assoluta e altri 2,2 milioni sono in povertà relativa. Ovvero, un terzo dei nostri bambini e bambine, ragazzi e ragazze vive in condizione di esclusione precoce compromettendo, di fatto, il loro futuro e quello del Paese. La povertà educativa minorile è multidimensionale, non è solo legata alle cattive condizioni economiche ma investe anche la dimensione emotiva, quelle della socialità e della capacità di relazionarsi con il mondo e con l’apprendere. Un fenomeno aggravato dalla pandemia. Spesso si conoscono solo gli aspetti devianti o quelli estremi del fenomeno (baby gang, bullismo e cyberbullismo, abbandono scolastico, neet,ecc.), ma sfugge la visione di insieme, la comprensione delle interconnessioni tra le parti, gli effetti immediati e quelli a lungo termine. Il racconto giornalistico, davanti ad un fenomeno multidimensionale, può e deve utilizzare strumenti e linguaggi differenti, poiché anche i giornalisti fanno parte della comunità educante, condividendo responsabilità e attenzioni nel modo di narrare la realtà sociale. Per questo adottano Carte deontologiche come la Carta di Treviso, recentemente aggiornata, diretta a disciplinare i rapporti tra informazione e infanzia. Di tutto questo si è parlato nell’ambito di un corso di formazione proposto dall’Ordine dei Giornalisti del Piemonte e organizzato da Fondazione Cassa di Risparmio di Biella in collaborazione con il Giornale Radio Sociale.
Tra gli interventi all’evento Ivano Maiorella, giornalista, direttore Giornale Radio Sociale, che abbiamo intervistato in merito al ruolo del giornalista nel racconto della povertà educativa minorile in Italia e in merito all’importanza di momenti di formazione come questo per la crescita e l’autorevolezza del giornalismo, affinché si arrivi a fare un’informazione sempre più corretta, che possa infine evitare facili sensazionalismi. «La tesi di partenza – dice Maiorella – è questa: che tipo di educatori sono i giornalisti? Il corso parte da alcune ricerche che mettono in evidenza quanto la povertà educativa nei minorenni sia fonte di povertà sociale, economica e culturale. In questo contesto qual è il ruolo dei giornalisti? Forse i giornalisti dovrebbero vedersi come degli educatori, che non vuol dire debbano trasmettere un flusso unidirezionale verso un pubblico passivo. Proprio come fanno i veri educatori, che spingono gli studenti a sperimentare, nel caso dei giornalisti questa operazione va fatta con i lettori, per portarli a condividere e a costruire in autonomia desideri e bisogni, senza creare dipendenze. Non è forse questa la funzione critica della libertà di stampa? Non è forse questa una delle funzioni base del mestiere del giornalista fissata dalla legge istitutiva dell’ordine? Non è forse questo l’obiettivo dell’articolo 21 della Costituzione?».
«Al netto delle responsabilità educative dirette o indirette – continua Maiorella – il giornalista fa parte della comunità educante ed è chiamato dall’appartenenza a un ordine professionale a rispondere a regole deontologiche e ad attenersi alla responsabilità, nel linguaggio o nella scelta di un titolo o un’immagine. Il giornalista fa parte della comunità educativa in quanto riesce a far progredire in conoscenza e in formazione, ma anche in comprensione, gli appartenente a una determinata comunità, della quale lui stesso fa parte».
«La comunicazione – prosegue Maiorella – è un processo circolare, così come l’informazione; come un buon insegnate dobbiamo chiederci se il nostro lavoro fa sì che gli utenti, ovvero la comunità a cui arrivano le informazioni, siano più consapevoli e dotati di senso critico. Esiste un diritto di cronaca ma c’è anche un diritto a rispettare le persone. Le parole sono pietre e hanno un peso rilevante. La cronaca di una partita di calcio deve considerarsi giornalismo, perché parla a tante persone di tutte le età e ha bisogno di responsabilità, come stare su un social network, perché un giornalista è un giornalista sempre. I social ora appaiono come un’utopia realizzata, nella quale tutti parlano con tutti, ma è soltanto apparenza, perché di fronte a questo caos comunicativo manca la profondità dell’informazione e tutto diventa uguale, sia la qualità fornita dal giornalista, sia la comunicazione di intrattenimento o addirittura le fake news».
Cosa può salvarci, per cui, da un futuro che vede le tecnologie sempre più invadenti e capaci di costruire dipendenza e di sostituire l’importate ruolo di mediazione che fino ad oggi hanno ricoperto i giornalisti in maniera responsabile, avveduta e rispondente alle regole precise di verità, utilità sociale e forma civile? «Ci salverà il mestiere – conclude Maiorella. Ci salverà alzare l’asticella per essere al servizio dell’informazione di qualità. Ci salverà il rispetto delle regole deontologiche, il rispetto di chi come lettore riceve l’informazione e la rimette in circolo, sapendo che quell’informazione è veritiera, non orientata strumentalmente a trasmettere notizie tendenziose, incomplete o sleali. Questo obiettivo è lo scudo attraverso il quale in futuro la rete dovrà dirigere il traffico, tra quella che oggi consideriamo informazione e tutto il resto. Ci salverà, infine, l’incrocio e la certezza delle fonti. Un giornalista lo è sempre, deve essere riconoscibile e la sua professione deve essere una garanzia per tutti gli utenti, i cittadini, le persone. Per tutti. Lo stesso “per tutti” citato nell’articolo 21 della Costituzione, che ci colloca nel perimetro che chiamiamo comunità educante».
Eugenio Giannetta