Il genio di “ArTù” che fece grande il Piemonte sportivo
Addio ad Aristide Tutino, fondatore del primo giornale dedicato allo sport dilettantistico
Con il saluto beneaugurante di Fausto Coppi, il 30 luglio 1957 usciva il primo numero del Piemonte sportivo, destinato a diventare il più longevo periodico dello sport minore. A firmarlo come direttore responsabile era Aristide Tutino, che sulle due ruote aveva costruito una breve carriera tra i dilettanti per poi smettere a metà degli anni Cinquanta. All’epoca, Tutino aveva ventisette anni, ma già una solida esperienza giornalistica nei periodici popolari “Sport Pronostici” e “Domenica Espresso”. Quando nel 1978 arrivai al “Piemonte”, la testata – di proprietà fin dagli inizi di Ennio Pedrini, uomo politico ed editore – aveva ormai consolidato il suo spazio ed era diventato un’affidabile palestra per giornalisti alle prime armi. Ben presto, con altri studenti come il sottoscritto, ancora indecisi sulla strada da prendere nella vita, formammo una redazione di giovani entusiasti e curiosi e vivemmo anni indimenticabili, decisivi per la nostra formazione professionale ma soprattutto umana.
Aristide – da tutti conosciuto come “Artù” – era un uomo piccolo ma vulcanico, dinamico e puntiglioso, capace di furibonde intemerate (ancora oggi tremo al ricordo delle riunioni di redazione del mercoledì sera) quanto di gesti spontanei di grande generosità. Non usava mezzi termini per demolire i nostri articoli (“questa pisciata la tagli tu o ci penso io?”), ci insegnava a essere brevi e concisi, a fare i titoli, a stare alla larga dalla retorica, a ingolosire il lettore con notizie succose e di prima mano. Ci insegnava un’etica del lavoro. Guidava il giornale con piglio militaresco ma era aperto a ogni idea purché originale: grazie al “Piemonte”, entrammo nel magico mondo delle radio e delle televisioni private, che all’epoca muovevano i primi passi in una città che soltanto a una prima, frettolosa impressione poteva apparire grigia e noiosa.
Tutino era attento alla bontà dell’informazione quanto all’importanza della promozione: intuì che le copie invendute non dovevano finire al macero ma potevano essere riciclate, e così le fece spedire ai commercianti di Torino e provincia, sperando che qualcuno di loro si facesse vivo per fare la pubblicità, come poi puntualmente accadde. Nel periodo estivo – quando i campionati erano finiti e l’attenzione dei lettori fatalmente andava scemando – si era inventato il calciomercato, sguinzagliandoci tra le varie società dilettantistiche alla ricerca di indiscrezioni, quelli che oggi si chiamano “rumors” di mercato. Erano più le bufale che le notizie vere, ma tanto meglio, il giornale ormai viaggiava così spedito che a un certo momento Tutino azzardò una seconda edizione: il “Piemonte” diventò bisettimanale, testata rossa il martedì e verde il venerdì. Nel suo campo, un caso unico, e non soltanto in Italia.
Orgoglioso della sua creatura, nel momento i cui verificò che i quotidiani cittadini “attingevano” notizie dal giornale e piano piano cominciavano a dare più visibilità allo sport dilettantistico, Aristide, invece di prendersela, affermava compiaciuto che “è sempre dai migliori che si copia, ragazzi; ricordatevelo.” Fu il desiderio di cambiamento, dissidi con la proprietà o forse la consapevolezza che il suo ciclo al “Piemonte sportivo” era terminato, a spingerlo, negli anni seguenti, a intraprendere nuove strade. Con immutato entusiasmo, fondò e diresse altri giornali, sportivi e di informazione, sempre curioso sul mondo che cambiava intorno a lui. Non aveva perso la sua vis polemica né l’ostinata difesa delle proprie idee: atteggiamenti che, uniti a un carattere non facile e a una innata permalosità, gli avevano chiuso le porte delle grandi redazioni dei giornali. Aveva scelto di essere libero nei piccoli giornali piuttosto che dipendere dai capricci di un capo-redattore o dalle manie egemoniche di un grande editore. Una scelta onesta e coraggiosa che gli ha sempre fatto onore.
Nico Ivaldi