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ATTUALITA'

04/05/2023

“Quale libertà di stampa vogliamo davvero?” Convegno a Cuneo

Quale libertà di stampa vogliamo davvero?”. È il titolo del convegno svoltosi ieri sera, mercoledì 3 maggio, presso lo Spazio Incontri della Fondazione CRC a Cuneo, in occasione della Giornata mondiale della Libertà di Stampa.

Stefano Tallia, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte ha dialogato con Irene Bongiovanni, Presidente di Confcooperative Cultura Turismo Sport e i giornalisti Gad Lerner e David Puente. Il tema: “Quale libertà di stampa vogliamo davvero?”.

Ad organizzare l’evento, che seguiva un incontro mattutino con gli studenti è stata l’associazione culturale Territori, con il patrocinio dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, del Comune di Cuneo e il contributo della Fondazione CRC.

«Questa mattina (ieri, 3 maggio, ndr) a Torino abbiamo assegnato la tessera onoraria a a Sepideh Gholian, giovane giornalista e attivista iraniana attualmente incarcerata – ha esordito Tallia –. L’abbiamo consegnata simbolicamente a quattro attivisti iraniani. Sono ancora troppi i giornalisti incarcerati nel mondo. Giornalismo e informazione sono i primi bersagli dei regimi dittatoriali».

Di pluralismo e libertà di informazione ha parlato Gad Lerner: «Nella opinabilissima classifica di Reporter sans Frontieres, l’Italia ha fatto un balzo di 17 posizioni raggiungendo il 41esimo posto per libertà di stampa. C’è pluralismo e dialettica molto accesa. Ma in realtà registro una forte tendenza ad avere giornali come strumento di protezione dalla concorrenza e dalla politica. E pazienza se gli editori ci perdono dei quattrini. Tutti si illudono che per essere informati basti questo aggeggio qua (prendendo in mano il cellulare, ndr) attraverso cui l’informazione arriva gratis. C’è illusione di poter avere pluralismo, libertà di stampa, e accuratezza senza pagare un soldo. E che i giornalisti si arrangino».

David Puente, vicedirettore di Open e smascheratore di bufale, ha toccato il tema della transizione tecnologica e delle fake news che hanno alle spalle centrali di disinformazione: «Le notizie false non sono nate con Internet. Internet ne ha facilitato la diffusione. In Italia, con Open, facciamo parte dall’aprile 2021 dell’IFCN, International Fact-Checking Network, e condividiamo il nostro lavoro con ben 71 Paesi. L’obiettivo è monitorare le notizie false o fuorvianti diffuse in Italia e all’estero, fornendo un servizio di corretta informazione e degli strumenti necessari ai cittadini per imparare a riconoscere le bufale, la disinformazione, la misinformazione e tutte le altre falsità che minano la società e il processo democratico».

«Il mio lavoro non è solo smascherare le bufale, ma capire chi c’è dietro e perché lo fa – aggiunge Puente –. Tuttavia non sempre si tratta di un fenomeno voluto. A volte sono i colleghi che corrono e sbagliano. L’informazione oggi è troppo veloce. Ci sono realtà giornalistiche che diffondono qualsiasi cosa senza verificare le fonti. Io ritengo sia meglio uscire dopo avere verificato. Proprio come facemmo con la notizia del missile esploso in territorio polacco nel novembre 2022. Molte testate l’avevano battuto come russo. Noi ci siamo fermati perché avevo già visto quei resti e sapevo non essere russo. Ma dovevo verificare».

Sul tema provvidenze all’editoria è intervenuta Irene Bongiovanni: «Il fondo per l’editoria è una delle basi essenziali per il pluralismo dell’informazione. Pensate che in Italia ci sono ben 300 cooperative di giornalisti. Il nostro claim è ‘meno giornali meno liberi’».

«Quando si spegne un giornale, si spegne la voce di un territorio e si generano ferite profonde», le fa eco Tallia.

«Purtroppo stiamo assistendo ad una proletarizzazione del mestiere giornalistico – aggiunge Lerner –. Se sei precario sei ricattabile. Alla Stampa demmo la notizia dell’Ad Romiti indagato per Mani pulite negli anni ’90. Se non l’avessimo fatto, allora i lettori ci avrebbero riso in faccia. Un tempo c’erano corrispondenti e inviati di guerra super pagati. Oggi la migliore che abbiamo in circolazione è Francesca Mannocchi, una libera professionista che gira a suo rischio e pericolo per vendere il suo prodotto da freelance».

Inevitabile toccare il tema di stringente attualità dell’intelligenza artificiale. Lo ha fatto Puente: «L’intelligenza artificiale complica il mio lavoro. Soprattutto perché dobbiamo scontrarci con l’emozione della gente. La foto di Trump arrestato per me era evidentemente falsa, ma la gente guardava Trump e non si rendeva conto dei difetti. Mi sono infuriato per la foto falsa di un Julian Assange esausto. Una foto non vera, ma la gente si è indignata della nostra segnalazione. Non sarà vera ma racconta la realtà, ci hanno contestato in tanti. Si tratta dell’ennesimo caso in cui immagini finte ma altamente verosimili confondono il web. E poi mi sono indignato per la campagna di Amnesty che volutamente ha creato immagini con l’intelligenza artificiale a scopo di denuncia. Mi ha colpito quella di una donna colombiana portata via di peso dai poliziotti. Quella donna non esiste, ma fra 5 anni quello scatto diventerà verosimile e sarà sempre più difficile smascherarlo».

Lerner ha pungolato Puente per la sua passata collaborazione con la Casaleggio Associati: «Nacque allora il concetto di disintermediazione, cioè la convinzione che grazie alla rivoluzione tecnologica si potesse fare a meno dei giornalisti».

«Quella fu un’esperienza fruttuosa ma chiusa male. Non siamo rimasti amici – ha risposto Puente –. Non c’è possibilità di sostituzione. La rivoluzione tecnologica in atto non può scalzare i giornalisti. Serve qualcuno che controlli e che firmi. L’intelligenza artificiale in realtà è scema. Del resto, chi la allena? Noi. E lo facciamo secondo interessi e informazioni locali. Pensate che ho fatto diventare una chatgpt no vax. Non è senziente, non pensa. È fatta da noi. Noi non siamo perfetti, figuriamoci ciò che creiamo. E poi, se fossero le macchine a scrivere gli articoli, in caso di errore, contro chi si potrebbe fare denuncia?».

di Cristina Mazzariello

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