
Quando l’AI entra in redazione: cosa guadagniamo, cosa rischiamo
L’introduzione dell’intelligenza artificiale nelle redazioni locali dei settimanali suscita da qualche tempo riflessioni contrastanti. Da una parte, rappresenta uno strumento promettente per razionalizzare il lavoro quotidiano: la gestione dei dati, la ricerca rapida di fonti o la catalogazione degli articoli sono attività che l’AI può già svolgere in modo efficace, liberando tempo prezioso per i redattori.
Quando si passa alla scrittura vera e propria, emergono i limiti. I chatbot necessitano infatti di istruzioni dettagliate, che spesso implicano una mole di lavoro pari, se non superiore, alla stesura diretta del pezzo. Inoltre, l’unicità del giornalismo locale, fatto di contesti, toni, sfumature, e relazioni sul territorio, si perde facilmente nella produzione automatica dei testi. La voce locale, quella che dà calore e identità a un settimanale, difficilmente si replica con successo su modelli generalisti come quelli proposti dall’intelligenza artificiale.
Anche la correzione automatica non sempre è affidabile. Se da un lato l’AI può individuare qualche refuso o suggerire revisioni stilistiche, dall’altro fatica con la punteggiatura italiana più sottile o con l’ironia, la polisemia, e certe convenzioni specifiche del giornalismo.
L’AI può diventare quindi un valido alleato nei compiti tecnici e ripetitivi, ma difficilmente sostituirà, almeno per ora, l’intuito, la voce e il giudizio del redattore locale.
Fabrizio Scarpi, vice direttore del Corriere di Saluzzo