intelligenza artificiale unsplash
GIORNALISTI

12/07/2025

Rancilio: «L’IA non pensa al posto tuo. Il giornalista resta il motore del pensiero»

Nell’ambito della serie di approfondimenti promossa dalla Casa dei Giornalisti del Piemonte, dedicata all’impatto dell’intelligenza artificiale sul mondo dell’informazione, abbiamo intervistato Gigio Rancilio, giornalista con esperienza decennale nel digitale. Rancilio ci invita a guardare all’IA come a un potente assistente, capace di supportare la professione ma non di sostituirla. Il pericolo maggiore – suggerisce Ranciclio – è la pigrizia mentale, nelle redazioni come nella vita quotidiana. Tra rischi, possibilità e buone pratiche da importare, Rancilio riflette su come l’IA possa essere non un nemico, ma un alleato: a patto di restare vigili, consapevoli e curiosi.

Gigio, tu suggerisci un rischio di passività derivante dall’affidarsi all’IA come un “amico” o un “terapeuta”. All’interno di una redazione secondo te c’è lo stesso rischio di appiattimento e pigrizia del pensiero?

«Il rischio c’è, dentro e fuori le redazioni. A partire dal fatto che il digitale ci sta abituando sempre di più ad avere a disposizione delle scorciatoie. Il che rende una parte della nostra vita sicuramente più veloce, ma dall’altra ci rende sempre più pigri, nelle azioni e nei pensieri. Nelle redazioni abbiamo cominciato a impigrirci anche nel pensiero con il copia-incolla, cioè da quando è arrivato un comando semplice (ctrl C + ctrl V) che ha reso facilissimo copiare e rielaborare testi e pensieri. Da questo punto di vista, l’intelligenza artificiale sta solo dando l’accelerazione a tutto questo. E quindi, se non ci approcciamo nella maniera più corretta, ci rende sempre più pigri».

Come sta cambiando, in base alla tua esperienza, il lavoro delle redazioni italiane – nazionali e locali – con l’introduzione di strumenti come l’IA?

«Per ora i cambiamenti sono piccoli. C’è chi la usa per sottotitolare video, chi per fare titoli “SEO”, cioè che diano il massimo dei risultati nelle ricerche web, e altri per fare post social o montare alcuni video. Se pensi che l’intelligenza artificiale può essere creata per costruire sistemi in stile ChatGPT alimentati solo con gli archivi di una o più redazioni o che può essere utilizzata per creare pagine web interattive, con grafici e tabelle sulla base anche di molte decine di documenti, è chiaro che lo stiamo usando ancora al minimo».

Nella tua carriera decenale nel digitale hai imparato che bisogna affrontare le novità senza timori ma con realismo. Quali sono per te allora i vantaggi concreti (es. velocità, scoperta, personalizzazione) dell’IA in redazione e dove invece si nascondono i rischi (es. superficialità, perdita di autonomia)?

«Il vantaggio più grande è che se usata nel modo corretto l’intelligenza artificiale è un assistente incredibile, che può aiutarci a svolgere un numero importante di compiti, lunghi, gravosi e persino noiosi, così da permetterci di focalizzarci sulla parte importante del lavoro giornalistico. E cioè nell’ideazione, nelle inchieste e nella scrittura. I rischi sono quelli che abbiamo in parte indicato anche prima: ci fa diventare più pigri, standardizzare la nostra produzione e mette ai margini coloro che fino ad oggi si sono accontentati di fare un giornalismo di basso livello, quello fatto rimpastando i comunicati stampa o copiando il lavoro di testate, magari straniere».

Ci puoi raccontare un caso specifico in cui l’IA ha migliorato il lavoro di una redazione locale (es. tracciamento dati, ottimizzazione processi) e quali misure deontologiche si possono adottare per mantenere qualità e rigore?

«Da questo punto di vista, il cattolico Avvenire di Calabria guidato da un sacerdote giornalista che è anche un esperto di informatica è stato uno dei primi a introdurre l’intelligenza artificiale in redazione per la correzione di testi, la creazione di post social e l’aiuto nella stesura dei titoli. Io credo che il limite che debba essere messo all’intelligenza è soprattutto questo: va usata come supporto al lavoro dei giornalisti e mai per sostituirli in parte o del tutto. A livello internazionale, il New York Times ha istituito una figura per guidare l’adozione dell’IA, e l’applicano per affinare dati satellitari o scovare documenti rilevanti».

Secondo te quali sono le best practice da importare (e adattare) nel contesto italiano?

«Ce ne sono diverse. La prima che mi viene in mente è che l’intelligenza artificiale deve essere utilizzata per conoscere nel miglior modo possibile i propri lettori. Non tanto per uscire a dare loro ciò che vogliono, ma soprattutto per creare una relazione profonda con loro. Proprio Zach Seward, che oggi guida il team dell’intelligenza artificiale del New York Times, oltre dieci anni fa ha detto una cosa non solo importante, ma che resta di grande attualità: “I giornali vivranno o moriranno in base alla loro relazione con i lettori”. La seconda è che l’intelligenza artificiale fa un ottimo lavoro quando bisogna analizzare centinaia di documenti per estrarre un certo numero o un certo tipo di dati. Il che rende le inchieste più precise e più centrate».

Quali competenze nuove dovrebbero sviluppare i giornalisti oggi per collaborare efficacemente con l’IA?

«Io credo che la prima cosa importante sia quella di metterci a studiare l’intelligenza artificiale. Prima ancora di capire come usarla, dobbiamo capire come funziona e cosa può fare in particolare per il nostro lavoro. Ai giornalisti non è richiesto di diventare degli informatici o degli esperti di intelligenza artificiale, ma imparare a fare le domande giuste e le richieste giuste all’IA, per avere le risposte giuste».

Come bilanciare la necessità di semplificare la mole di lavoro (ad esempio usando l’IA per riassunti o selezione delle notizie) con l’esigenza di mantenere una pluralità di voci e una autonomia critica?

«L’intelligenza artificiale può spegnere la pluralità di voci e la nostra autonomia critica solo se la usiamo come copia e incolla, come una scorciatoia che ci aiuta a fare il prima possibile il compito che c’è stato affidato, non importa a quale prezzo e con quale qualità. In tutti gli altri modi invece può essere un moltiplicatore di competenze e un assistente di estremo valore. Sta a noi come usarlo. Sta a noi se farci usare o se usarlo per migliorare la qualità di ciò che facciamo. Per farlo dobbiamo ricordarci sempre due cose. La prima è che giornalista, quindi l’essere umano, colui il quale pone la domanda e dice alla macchina cosa deve fare. La seconda è che è sempre giornalista, quindi l’essere umano, che decide come migliorare il risultato che gli arriva dalla macchina per fare un prodotto migliore».

agenda

Eventi formativi

L’agenda della formazione professionale continua dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte.

Eventi istituzionali

Tutti i nostri eventi istituzionali dedicati ai giornalisti del Piemonte.

Cerca: