Rossignaud: «Rallentare per riflettere sulle trasformazioni digitali»
Media Duemila compie 40 anni e da 40 anni continua a dedicarsi con uno sguardo attento e approfondito alle trasformazioni epocali indotte dall’avvento dell’era digitale. Nato nel 1983 in contemporanea con l’avvento del personal computer per iniziativa di Luigi Dadda, allora rettore del Politecnico di Milano, di Francesco Silvano e Giovanni Giovannini, in quell’anno presidente della Federazione Italiana Editori Giornali. È l’unica rivista di cultura digitale che fotografa i cambiamenti in atto nella società, spesso anticipando ogni piccolo e grande cambiamento capace di sconvolgere il modo di comunicare e vivere dell’uomo, ossia la cosiddetta “Grande Mutazione”, secondo il termine coniato da Giovanni Giovannini (deceduto nel 2008) per indicare l’insieme delle trasformazioni all’alba del Terzo Millennio.
Abbiamo parlato con Maria Pia Rossignaud (Direttore responsabile di Media Duemila) per fare il punto su questi primi 40 anni e sul momento che stiamo vivendo, su questa nuova “Grande Mutazione” per la comunicazione e il giornalismo che è l’avvento dell’intelligenza artificiale. «Quarant’anni – ha detto Rossignaud – sono significativi perché credo sia arrivato il momento di decelerare riflettendo. Rincorrere l’innovazione tecnologica o la transizione digitale, come si chiama oggi, non è il modo giusto per seguire una reale visione che tenga conto di inclusione e parità dei diritti del cittadino, che sono criteri cardine della nostra mission».
Oggi la riflessione si concentra in particolare su NewsMedia4Good, che vuole riportare al centro del racconto professionale il contesto della storia: «Lo può fare solo il giornalista», spiega Rossignaud, che prosegue: «L’Osservatorio TuttiMedia desidera fondare questo movimento (NM4G) a sostegno dell’informazione non strillata, ma curata in ogni parola. Si vuole dire basta al sensazionalismo che divide, alla polarizzazione che ingabbia. È giunto il momento di ritrovare il senso della notizia e ridare valore alle parole che interpretano la realtà, con l’aiuto di tutti e con attenzione particolare allo sguardo delle donne che, come hanno dimostrato nella tragedia pandemica, si prendono cura degli altri e del mondo. Si tratta di ritrovare una modalità di coesione sociale».
«Il problema – continua – è che chi racconta la notizia deve avere deontologia ed etica, evitare pregiudizi, occuparsi delle categorie svantaggiate. Pensiamo sia arrivato il momento di raccontare la storia tenendo conto che il presente si sta rimodellando in questo contesto, e qui ritroviamo tutta la modernità di Giovannini, che aveva scelto la parola mutazione già nel 1983, pensando alle rivoluzioni nel modo di comunicare e nella vita stessa dell’uomo, così come oggi noi pensiamo ad algoritmi e manipolazioni».
«La storia ci viene davanti agli occhi proprio in questo momento. Stavamo pensando al Media Freedom Act, ai regolamenti europei, ed è scoppiata la bolla Chat Gpt. Se aiutare questa trasformazione equilibrata per tutti significa rinunciare a un po’ di velocità io credo ne valga la pena, come dice Roberto Viola nel suo libro Il codice del futuro».
«Non possiamo prescindere dalla ricerca – conclude -, ma possiamo forse arrivare a un sistema simbiotico e autonomo in cui uomo e macchina ritrovino un equilibrio. Chi meglio di noi? La società giornalistica ha il compito di raccontarlo è per farlo deve essere aperta e preparata per riflettere e trovare un equilibrio che non schiacci la categoria, con etica e partecipazione, tenendo sempre conto dei principi democratici»