Scavo: «Avere uno sguardo umano nel giornalismo delle migrazioni»
Lunedì 21 ottobre a Palazzo Ceriana Mayneri, nella Casa dei Giornalisti, è stata inaugurata la mostra “Exodos-Exit – Popoli in cammino”, il primo degli appuntamenti dedicati a giovani e giornalismo nella settimana che vedrà la consegna dei premi Schiavazzi, Pestelli e le giornate conclusive del Premio Morrione.
Il progetto fotografico “Exodos-Exit”, dedicato alle migrazioni, nacque nel 2017 da un’idea dell’Associazione degli ex allievi del Master di Giornalismo Giorgio Bocca di Torino sostenuta dalla Regione Piemonte. La mostra – rilevata dall’Ordine dei Giornalisti – da ieri, lunedì 21, è stata rirpoposta con nuovi contenuti grazie alle foto di tredici fotoreporter piemontesi che nel loro percorso professionale hanno descritto il fenomeno delle migrazioni in diversi angoli del mondo.
Un racconto che è stato preceduto dal corso di formazione Immagini e migrazioni. Il racconto nella fotografia e nei video, per provare a fare il punto e costruire un dibattito su come è cambiata la rappresentazione delle migrazioni.
Ad aprire il momento di formazione è stato Stefano Tallia, presidente Ordine dei Giornalisti del Piemonte, che ha posto l’accento sulla ricchezza di fotoreporter del territorio, ma anche sull’importanza di «raccontare contenuti che già erano attuali e che oggi lo stanno diventando sempre di più. La forza della mostra – ha proseguito il presidente – è quella di accendere i riflettori sulle persone e sui luoghi del mondo, con l’idea di continuare a raccontare al di fuori del racconto stereotipato».
A introdurre la settimana di eventi è Alessandro Rocca, giurato del premio sul giornalismo d’inchiesta Roberto Morrione, che racconta il programma completo di eventi che si terranno da mercoledì a sabato.
A portare i suoi saluti nel corso dell’evento anche Silvano Esposito, presidente della Subalpina: «La Casa dei Giornalisti non è solo un edificio ma un insieme di contenuti, un luogo dove parlare di una professione che è sempre più difficile portare avanti. Eventi come questo sono importanti per raccontare un giornalismo che ci parla di cose che altrimenti l’opinione pubblica non potrebbe conoscere. Questo ci porta perciò a riflettere sul fatto che il giornalismo, questo genere di giornalismo, non può e non potrà mai essere sostituito dalle intelligenze artificiali».
In collegamento nel corso dell’evento interviene poi Mamadou Kouassi, migrante, ha ispirato il film di Matteo Garrone “Io capitano” che ha vinto il David di Donatello: «Il film ha fatto il giro di molti paesi, anche in Africa, anche per far sì che le persone siano a conoscenza di ciò che accade e per diffondere un messaggio: abbiamo bisogno della pace, perché tante persone sono obbligate ad andarsene, non solo per le guerre ma anche per altri motivi, come la fame o il cambiamento climatico; credo che governando con una politica organizzata si possa però sperare di costruire un mondo nuovo. L’immigrazione non si può sfuggire, bisogna affrontarla e quando si parla di diritti nessuno deve essere escluso. La sfida sono i giovani, sono loro che possono portare valore aggiunto a temi quali l’accoglienza e l’integrazione, perché la sfida è e deve essere quella di decolonizzare la mente».
Max Ferrero, fotografo, racconta come nasce la mostra, a partire dalle parole di Masmadou: «Mamadou ha detto molte cose che hanno ispirato questa mostra. È nata in un pub con Marco Bobbio. Dietro alla mostra c’era la volontà di rispondere a una domanda: perché si va via da casa? C’è sempre un motivo. Le foto raccontano questo attraverso strade, tempi, luoghi. Le fotografie raccontano storie. Tutti i fotografi e le fotografe in mostra hanno lavorato con lo stesso spirito di avere una forza di impatto in gruppo e non solo come singoli fotografi, tenendo a mente un principio chiave: le persone davanti all’obiettivo non sono solo foto, sono persone, sono storie. Per fare questo serve fiducia, serve tempo, serve la volontà e la possibilità di non scattare e scappare. Serve rispetto, non si deve vedere l’altro come una merce».
Simona Carnino, giornalista, documentarista, in collegamento dal Guatemala, racconta il suo lavoro: «Da sempre sono interessata alle ragioni che muovono il viaggio e alle aree geografiche escluse dall’agenda giornalistica europea. Alcune di queste aree hanno flussi migratori che sono veri e propri esodi di perse, non sono solo luoghi di transito ma di origine delle migrazioni, per questo credo sia importante raccontarle. Per fare questo tipo di giornalismo Kapuściński diceva che non si può raccontare la storia di qualcuno con cui non si è convissuto almeno un po’. Io lo chiamo giornalismo di condivisione e convivenza. Per farlo cosa devo fare? Prima di tutto metterci il corpo, anche quando si va in luoghi senza garanzie».
Infine chiude l’evento Nello Scavo, giornalista e inviato Avvenire: «È molto importante il lavoro di questa mostra e dei fotografi, perché noi giornalisti di carta stampata andiamo sul posto con le nostre parole, loro con le immagini e certe volte le nostre parole servono a poco, perché non riescono a rendere tangibile un volto. Uno dei rischi è quello di cadere nella trappola di chi vuole la pornografia del dolore. Ovvero essere tentati di far vedere tutto, ma non si può far vedere tutto, si deve tenere una certa delicatezza nel racconto, anche perché la pornografia alza l’asticella. È esattamente quello che accade con i diritti quando sposti più in là il confine, allora è fattibile qualsiasi cosa. Credo – continua Scavo – che abbiamo la necessità di recuperare l’alleanza tra parola e immagine. Capire più e meglio cosa è il nostro mestiere oggi. Cercare di non voltarci dall’altra parte. Abbiamo necessità di ritrovarci insieme, fare alleanza con direttori, lettori, ascoltatori, per ritrovare la centralità del mestiere che è il giornalismo di prossimità, il giornalismo ad altezza uomo, che guardi negli occhi le storie e le persone, perché ogni storia è universale. Non penso ci sia alternativa a questo modello di giornalismo che ho in testa e in questo senso la fotografia è importante per aprire uno sguardo nonché per spostare il punto di vista, sorprendere chi legge e chi guarda, per far percepire le storie anche in un altro modo, recuperando la dimensione umana».