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ATTUALITA'

28/05/2025

Un campionato d’altri tempi che riaccende le emozioni

Darwin Pastorin commenta la stagione del calcio: Napoli campione nel ricordo di Diego

C’è qualcosa di nuovo oggi nel campionato, anzi d’antico: per spiegare il senso della stagione appena termina mi affido a una (semi) citazione di Giovani Pascoli e all’incipit della sua poesia “L’aquilone”. Il nostro calcio, dopo tanto tempo, è ritornato ai tempi belli dove tutto si risolveva all’ultima giornata: per lo scudetto, per l’Europa che conta e per la salvezza. Brividi, dunque, per tante tifoserie: con emozioni, timori e tremori, sorrisi e lacrime. Perché questa è l’essenza del football, cioè una sartriana metafora della vita. Il Napoli, guidato da Antonio Conte, alla sua prima stagione sulla  panchina partenopea, ha superato all’ultimo palpito l’Inter di Simone Inzaghi (il fratello Pippo ha riportato il Pisa in A). Per gli azzurri si è trattato del quarto tricolore, dopo i due dell’epoca maradoniana e il penultimo di Spalletti, attuale Ct della nazionale. Un trionfo che ha fatto esplodere un autentico carnevale tra il lungomare e i Quartieri Spagnoli, in un delirio senza fine, con una notte che non sembrava finire mai. E Dieguito era lì, presente con la sua anima e la sua perenne presenza spirituale: perché il più grande fuoriclasse di tutti i tempi rappresenta per la città-mondo il suo Santo Laico. Ricordo ancora la mia prima intervista al Pibe, per Tuttosport, quotidiano per me sempre caro, pochi giorni dopo il suo arrivo a Napoli in quell’indimenticabile luglio del 1984. Gli chiesi: “Come farai a superare la nostalgia per Buenos Aires?”, e lui mi rispose, aprendosi in quel suo sorriso a girasole, nella consapevolezza e nella bellezza dei suoi 24 anni: “Mi basterà aprire la finestra  e guardare il mare partenopeo”. Quindi in Champions League: Napoli e Inter, poi la sempre più sorprendente Atalanta del capocannoniere (“il miglior poeta dell’anno“ secondo Pier Paolo Pasolini, scrittore e calciatore corsaro) Retegui e, infine, proprio sul nastro d’arrivo, la Juventus, passata dai tormenti e dalla delusione della gestione Thiago Motta, alla concretezza di Igor Tudor, che ha saputo risollevare una squadra troppe volte sull’orlo di una crisi di nervi. Ora si tratta di lavorare sul futuro, su una campagna acquisti sicura e sui tanti giovani che rappresentano la vera forza di Madama: partendo da un talento puro, il tedesco-turco Kenan Yildiz. E il popolo bianconero ha un sogno nel cuore: vedere prima o poi Alessandro Del Piero nelle vesti di allenatore. In Europa League il meraviglioso Bologna fresco di una conquista inseguita da tempo, la Coppa Italia, e la Roma di quel gran signore di Claudio Ranieri. Ecco: mi dispiacerà non ammirare più sui nostri verdi prati un tecnico come lui: simbolo di bravura, eleganza, rispetto per l’avversario, mai una parola sbagliata, fuori posto. A lui il mio applauso più forte. Per la Fiorentina la “solita” Conference League. Tra i cadetti finiscono il Monza, il Venezia e, dopo aver stupito a lungo, l’Empoli. Il Torino di Cairo e Vanoli, malgrado gli irriducibili e fieri sostenitori granata, ha rimediata l’ennesima, anonima annata. Senza onore, senza colori e calore. Serve una svolta: immediata. Anche il Milan è da dimenticare. Comunque, abbiamo ripreso ad amare questo pallone di polvere e nostalgia, dei breriani “principi della zolla” e di un “recupero settimanale dell’infanzia”, secondo il rimpianto scrittore spagnolo Javier Marías, autore di uno dei più bei libri sul football: “Selvaggi e sentimentali”. Ora, il Mondiale per Club: dove, oltre a Juventus e Inter, ci sarà il Palmeiras di San Paolo, la mia adorata compagine nei giorni lucenti della mia infanzia brasiliana, di quando il centravanti veniva chiamato “Mazzola”, per la sua straordinaria somiglianza con capitan Valentino, ovvero José Altafini. Amico mio, fratello mio.

Darwin Pastorin

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