PREVENZIONE E STILI DI VITA

31/08/2022

Prima è meglio. Counselling pre-concezionale: un aiuto ai futuri genitori

Il tema della denatalità, aggravato dalla pandemia, impone una riflessione sul ruolo dei professionisti sanitari e sull’importanza del dialogo con la coppia. Obiettivo: promuovere un percorso genitoriale più consapevole e informato

di Stefano Menna

1 settembre 2022 – Cosa significa diventare mamma durante una pandemia? Sintomi di ansia, depressione e disagio psicologico sono fisiologicamente più frequenti fra le donne in gravidanza e subito dopo il parto. Ma il periodo segnato dal Covid sembra avere aggravato questa situazione. La conferma viene da due recenti studi – uno europeo, l’altro italiano – che hanno valutato l’impatto della pandemia sull’assistenza materno-neonatale, nonché sulle conseguenze psicologiche di isolamento e confinamento in un momento delicato come quello della gestazione.


L’evidenza scientifica: stress e scarso sostegno

Secondo un’indagine coordinata dall’Istituto superiore di sanità condotta durante la seconda ondata pandemica su un gruppo di utenti dei consultori familiari, un terzo delle donne ha ricevuto poco sostegno e il 12% ha accusato stress. Oltre alle difficoltà economiche, le preoccupazioni principali sono legate alla salute del bambino (60%) e al timore di non poter avere il partner vicino durante il parto (80%): il 21% delle neo mamme ha partorito senza alcuna persona di fiducia accanto. E il 32% delle donne che hanno vissuto la gravidanza in tempo di Covid non si è sentito supportato dalla propria rete sociale.

La fotografia scattata dal progetto europeo Imagine Euro (Improving MAternal Newborn carE in the Euro Region) avvalora questi dati e aggiunge, per il nostro Paese, significative diseguaglianze territoriali nella qualità delle cure erogate. Il 78% delle donne ha avuto limitazioni sulla presenza di una persona di propria scelta durante il travaglio e il parto; il 45% ha riportato difficoltà di accesso alle visite prenatali (dal 29% in Friuli-Venezia Giulia al 53% in Puglia); il 39% non si è sentita coinvolta nella scelta delle cure (dal 23% in Veneto al 62% in Calabria) e il 36% ha denunciato la mancanza di adeguato supporto per l’allattamento (dal 25% in Piemonte al 61% in Campania).


Crollo della natalità

Uno scenario complesso, quindi, quello che vivono le 6 milioni di mamme italiane. Anche dal punto di vista del bilanciamento tra vita privata e attiva – il work-life balance, uno dei principali indicatori di welfare. Tanto che la onlus Save the Children, nel suo ultimo rapporto, le ha definite “equilibriste” tra lavoro, famiglia e cura della salute. Non stupisce quindi che il 43% delle mamme tra i 25 e i 54 anni non sia occupata e il 39% con due o più figli minori abbia un contratto part-time. Solo nel 2020, più di 30 mila donne con figli hanno rassegnato le dimissioni, spesso perché non supportate da servizi sul territorio, carenti o troppo costosi. La scelta della maternità arriva di conseguenza più tardi (l’età media raggiunge ora i 32,4 anni) e si fanno meno figli (1,25 il numero medio per donna). Il tasso di natalità nel 2021, in Italia, segna l’ennesimo minimo storico: i nuovi nati calano sotto la soglia dei 400 mila (399.431), in frenata dell’1,3% sul 2020 e di quasi il 31% rispetto al 2008.

Piccoli segnali di ripresa si sono registrati alla fine dello scorso anno. Per questo – convinti che insieme si può e si deve invertire l’attuale trend negativo delle nascite – ginecologi e ostetriche, neonatologi e pediatri si sono incontrati a maggio per la seconda edizione degli stati generali della natalità, il cui motto è stato appunto “si può fare”. Dialogare con le famiglie, le giovani donne, gli adolescenti; informarli, tutelare la vicinanza di mamma, papà e neonato durante il ricovero in ospedale; alleggerire il carico di cura aggravato da oltre due anni di pandemia sono stati i principali temi affrontati dai rappresentanti delle istituzioni scientifiche che hanno partecipato alla due giorni (tra cui Società italiana di neonatologia, Società italiana di pediatria e Società italiana di ginecologia e ostetricia).


Il counselling, connubio tra scienza e comunicazioneRoberta Nale, ginecologa

Uno strumento efficace per potenziare formazione, informazione e prevenzione è senz’altro il counselling pre-concezionale. “Si tratta di uno spazio dedicato in cui il professionista – che sia ginecologo, ostetrico, medico di medicina generale, pediatra, endocrinologo o genetista – utilizza le conoscenze scientifiche e le proprie abilità comunicative per fornire alla coppia consigli e raccomandazioni utili. L’obiettivo è ridurre i rischi biomedici, comportamentali e sociali associati agli esiti avversi della riproduzione”, spiega la dottoressa Roberta Nale, ginecologa del Poliambulatorio Apollodoro e dirigente medico dell’ospedale Cristo Re di Roma.

Lungo l’intero percorso riproduttivo, oltre alla indispensabile anamnesi medica, il novero dei consigli va dalle raccomandazioni sulla somministrazione di acido folico per ridurre i rischi di malformazione del feto, a quelle più generali su comportamenti e abitudini da adottare. “Per esempio quale dieta seguire per ottimizzare l’indice di massa corporea, che tipo di esercizio fisico è più indicato, quali cibi assumere e cosa invece è meglio evitare nel periodo pre e peri concezionale, in modo da garantire un buon apporto di vitamine e altri micronutrienti necessari per il buon esito della gravidanza. Si tratta quindi di un percorso a tutto tondo: sulla base di valori, stili di vita, storia ostetrica e familiare, il professionista lavora assieme alla paziente per individuare eventuali disturbi e trattare i fattori di rischio, rendendo così la donna e il suo partner più informati e consapevoli in vista di questo importante passo della vita di coppia”, conclude Nale.

Nella foto a destra: Roberta Nale, ginecologa – Poliambulatorio Apollodoro e ospedale Cristo Re, Roma


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