Se basta essere “esperti” per definirsi giornalisti
Ordine dei Giornalisti e Stampa Subalpina impugnano il bando della Regione Piemonte per la ricerca di un capo ufficio stampa: «Rispettare la legge 150»
Per lavorare nell’ufficio stampa di un ente pubblico, e per dirigerlo, è necessario essere iscritti all’Ordine dei Giornalisti.
Ad affermare questo principio è la legge 150 del 2000 che, dopo anni di battaglie condotte dai giornalisti pubblici, ne ha riconosciuto pienamente la professionalità. Alla luce di questo assunto deontologico che garantisce cittadini e amministratori in merito a un tema delicato come la comunicazione istituzionale, appare singolare che la Regione Piemonte abbia deciso invece di ignorare la legge redigendo un bando di concorso per un posto da “esperto ufficio stampa e relazioni esterne” per il Consiglio regionale, non inserendo l’iscrizione all’Ordine tra le caratteristiche richieste per prendere parte alla selezione.
Un’omissione che l’Ordine dei Giornalisti del Piemonte e l’Associazione Stampa Subalpina hanno evidenziato alla Regione, auspicando una correzione dei criteri come accaduto in casi analoghi da parte di altre amministrazioni.
Di fronte a una prima risposta negativa, le rappresentanze dei giornalisti hanno quindi rivolto un ulteriore invito al presidente della Regione Alberto Cirio e a quello del Consiglio Stefano Allasia affinché si potesse comunque aprire un diverso canale di dialogo.
Tuttavia, dopo aver constatato il silenzio delle istituzioni pubbliche, Ordine dei Giornalisti e Associazione Stampa Subalpina hanno quindi depositato un ricorso al Tar chiedendo l’annullamento del concorso: «La via legale – commentano il presidente dell’Ordine Stefano Tallia e la segretaria della Subalpina Silvia Garbarino – rappresenta la soluzione estrema alla quale siamo stati costretti dal totale disinteresse dell’amministrazione pubblica ai nostri rilievi. Con il ricorso vogliamo difendere da una parte le prerogative professionali dei giornalisti il cui lavoro non può essere svolto da chi non ne possiede il titolo, dall’altra, il diritto dei cittadini a una corretta informazione che può essere meglio assicurata da chi, essendo iscritto a un ordine professionale, è chiamato a rispettarne le carte deontologiche. Carte che costituiscono anche una barriera verso pressioni indebite».
«Fatte le dovute proporzioni – concludono Tallia e Garbarino –, sarebbe come se un ospedale bandisse un concorso per un chirurgo senza pretendere il titolo professionale: quanti sarebbero disposti a entrare in quella sala operatoria?».