Perché il data journalism ha salvato il giornalismo d’inchiesta
Barbara D’Amico, giornalista e head of project management team in un’azienda della comunicazione, nonché ex business reporter oggi immersa nel flusso digitale, ha una newsletter – Digital Journalism – in cui prova una volta al mese a trasferire competenze digitali al servizio di progetti editoriali sostenibili, per fare informazione di qualità attraverso tecniche di data journalism e digital consulting. Nel numero di questo mese, intitolato “La desertificazione riguarda anche le notizie | Perché il data journalism ha salvato il giornalismo d’inchiesta”, parte dai risultati di una ricerca condotta nell’ambito del progetto Media for Democracy Monitor (MDM), “European news media in the decade of digitalisation: Persisting democratic performance with uneven developments”, ovvero uno studio sull’evoluzione del giornalismo in Europa e sulla sua tenuta – importante per la democrazia -, in particolare delle principali testate e gruppi editoriali nazionali europei, nel periodo di maggior sviluppo del giornalismo digitale ovvero tra il 2010 e il 2020.
«In breve – scrive D’Amico – questo come altri studi simili partono da una premessa: il giornalismo indipendente e pluralista (quindi, i mezzi che permettono la libertà di informazione) sono tra i baluardi della democrazia. Storicamente, infatti, le lotte per l’adozione delle carte costituzionali e dei sistemi democratici passano per l’affermazione della libertà di stampa. […] Da qui la domanda: come può tenere il tessuto democratico in un contesto in cui il pluralismo dei media e la presenza delle redazioni si sono progressivamente ridotti lasciando spazio alle piattaforme social di aver rubato lo spazio che un tempo era dei giornali? Vediamo cosa dicono i dati: nei soli Stati Uniti il numero di giornalisti assunti nelle redazioni crolla del 26% nel 2020 rispetto al 2008 (nessuna sorpresa, lo studio cita dati del Pew Research Center che partono appunto dal 2008, anno dell’inizio della crisi economica legata alla bolla dei mutui subprime)».
«Dalla Svezia al Portogallo – continua D’amico – si registra il rafforzamento del giornalismo di inchiesta, soprattutto nelle redazioni e nelle tv del servizio pubblico. Un fenomeno che accade nel periodo storicamente peggiore per l’economia globale. Proprio a causa della scarsità di risorse, editori e redazioni scelgono di concentrare i mezzi a disposizione su ciò che può garantire non solo un contenuto di qualità ma un’alimentazione di informazioni verificate/sul campo. Ed è in questo contesto che la transizione digitale entra in gioco: grazie all’accessibilità di strumenti e piattaforme, in quegli stessi 10 anni assistiamo allo sviluppo del data journalism. Ne deduciamo che il digitale, almeno nelle grandi realtà, abbia permesso alle redazioni di ottimizzare l’investimento delle risorse, più scarse, puntandole sul giornalismo di qualità e su una fascia di competenze medio-alte (quelle del data journalist che come sapete deve masticare un po’ di statistica e analisi dati oltre che uso di tool per le infografiche)».
Nella newsletter, a partire dai dati citati, anche un passaggio sull’Italia, «menzionata tra i paesi virtuosi nel sostenere l’informazione nei territori locali, proprio grazie ai fondi per l’editoria (che si possono criticare, ma indubbiamente garantiscono un sostegno fondamentale per queste realtà) – ne abbiamo parlato qua -. Lo studio anzi suggerisce di adottare politiche europee più coordinate per sostenere i media locali proprio alla luce del loro servizio a favore delle comunità, anche con sistemi di finanziamenti/contributi mirati come facciamo noi».