Giornalismo d’inchiesta, per la Cassazione non c’è diffamazione se…
In tema di diffamazione a mezzo stampa, il giornalismo d’inchiesta «ricorre quando il giornalista non si limiti alla divulgazione della notizia, come nel giornalismo ordinario di informazione, ma provveda egli stesso alla raccolta autonoma e diretta della notizia, tratta da fonti riservate e non, anche documentali e ufficiali, con un lavoro personale di organizzazione, collegamento e valutazione critica, al fine di informare i cittadini su tematiche di interesse pubblico».
Quest’ultimo, l’interesse pubblico generale, «deve essere valutato considerando che il ruolo civile e utile alla vita democratica di una collettività, svolto attraverso la divulgazione delle notizia, implica la necessità di valutarne l’attualità con riferimento al momento in cui la conoscenza dei fatti è sorta e al contesto sociale in cui è proposta con la pubblicazione, e non con riferimento al momento in cui si sono svolti i fatti che la integrano».
E ancora, l’interesse pubblico, non tanto alla luce dell’attendibilità e della veridicità della notizia, «quanto piuttosto dell’avvenuto rispetto da parte del suo autore dei doveri deontologici di lealtà e buona fede, oltre che della maggiore accuratezza possibile nella ricerca delle fonti e della loro attendibilità, ai fini del bilanciamento del diritto al rispetto della vita privata e del diritto alla libertà di espressione».
Questi sono i principi – ribaditi nella recente sentenza della prima sezione Civile della corte di Cassazione pubblicata il 10 maggio 2024 – cui saranno chiamati ad attenersi i giudici di appello nel riesaminare una vicenda di lamentata diffamazione risalente al 2018.