GUERRA ISRAELE - HAMAS - Imago Economica

23/06/2025

Chiudere le porte all’informazione, strategia delle nuove guerre

Se i giornalisti non possono testimoniare direttamente i conflitti, l’opinione pubblica resta al buio

Quale deve essere il compito del giornalismo in un contesto internazionale fatto di guerre che si espandono giorno dopo giorno, rendendo il mondo sempre più insicuro e pericoloso? Me lo sono chiesto seguendo il dibattito organizzato a palazzo Ceriana Mayneri che traeva spunto dal libro “Giustizia e conflitti internazionali” curato dai giuristi Alberto Perduca e Andrea Spagnolo. 

Un confronto a più voci al quale ha preso parte anche il giudice della Corte Penale Interazionale (Cpi) Rosario Salvatore Aitala e dal quale si è alzato forte il grido di allarme per il progressivo restringersi dello spazio di azione per gli organismi sovrannazionali nati per risolvere pacificamente le controversie. Ci riferiamo naturalmente all’Onu e alle sue agenzie, ma anche alla stessa Cpi le cui azioni sono state recentemente sconfessate da alcuni dei suoi stati membri.

Alla domanda non ci sono risposte facili perché, se ciascun giornalista può avere l’opinione che meglio ritiene su ragioni e torti dei diversi conflitti, il nostro mestiere è anzitutto quello di informare e per farlo è necessario osservare direttamente i fatti.

Non è certo un caso che una delle novità delle guerre degli ultimi decenni sia stata l’aver trasformato gli operatori dell’informazione in bersagli espliciti, aumentando il numero delle vittime e cercando in vari modi di impedire il racconto diretto dei conflitti. Così, nessun giornalista occidentale poté entrare nelle zone occupate dieci anni fa dal Califfato e il racconto della devastazione di ampie zone della Siria e dell’Iraq venne lasciato alla sola propaganda jihadista o alle poche voci filtrate tramite la rete delle Ong. Allo stesso modo, non è stato possibile raccontare la Siria di Assad fino alla sua caduta, come oggi resta difficile accendere i riflettori sui molti conflitti che dilaniano il continente africano. Purtroppo, però, non è possibile osservare direttamente nemmeno quel che sta accadendo a Gaza, dove l’ingresso della stampa è impedito dall’inizio dell’offensiva israeliana: un divieto grave, perché arriva dal governo di uno stato democratico che ha tra i suoi principi quello della libertà dell’informazione. Bene hanno fatto dunque le colleghe e i colleghi che in molte piazze italiane -e in Piemonte a Novara- hanno manifestato per chiedere che alla stampa internazionale sia permesso di entrare a Gaza, dovremmo farlo più spesso ricordando anche tutti gli angoli di pianeta nei quali la scritta “Press” su un giubbotto ci trasforma in bersagli.

Chiudere gli occhi della stampa negando il diritto all’informazione è anch’esso un crimine che spesso viene commesso perché altri delitti ancor più gravi non possano essere testimoniati.

Se e quando tornerà la pace e se dopo la pace si cercherà la giustizia, speriamo che anche di questi crimini siano chiamati a rispondere i signori delle guerre perché, se la verità è la prima vittima dei conflitti, l’arma che la colpisce si chiama censura.   

Stefano Tallia, Presidente Ordine dei Giornalisti del Piemonte

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