
Quell’idea di giornalismo che dobbiamo saper portare avanti
La scomparsa di Paolo Griseri, collega che ha dato voce alle contraddizioni della società
Dunque, per scrivere di Paolo ho dovuto prendermi qualche tempo per riflettere e per riordinare i ricordi. I primi, ormai molto lontani, mi riportano a quando la redazione del Manifesto di via Giolitti era per noi giovani che in quei tempi riempivamo le piazze sventolando il sogno di un mondo migliore, un punto di riferimento. Paolo aveva iniziato da poco la sua carriera di giornalista ed era proprio lui, il più giovane di quel piccolo collettivo di lavoro, a rispondere sempre alle nostre chiamate, alla nostra richiesta di avere voce quando altri non erano disponibili a concedercela.
Poi sono venuti gli anni di “Tangentopoli” durante i quali Paolo, con tutta la pattuglia dei “giudiaziaristi”, aveva eletto la redazione torinese di “Repubblica” a punto di incontro: in quelle stanze io ero io a muovere i primi passi nel giornalismo e lui, con la sua ironia, non faceva mai mancare un consiglio, un incoraggiamento.
Dopo, sono arrivati gli anni di una conoscenza e di una frequentazione più intensa e non posso pensare alla stretta che mi ha preso al cuore nel ricevere la notizia della sua scomparsa a poche ore dalla serata in memoria di Vera Schiavazzi che a Paolo era legata da profonda amicizia e stima professionale. Uno strano e crudele gioco del destino.
Un’amicizia la nostra che ci ha uniti nell’ultimo ventennio nel quale Paolo è stato per me – e per le persone con le quali abbiamo condiviso comuni cammini sindacali – una bussola, una persona da consultare sempre prima di ogni decisione importante. Non solo perché osservatore lucido delle dinamiche politiche e sociali, ma perché il suo sguardo e il suo giudizio sono sempre stati privi di qualunque forma di ideologia. Pieni di idee e di valori, ma liberi dai luoghi comuni che troppo stesso animano la nostra professione.
E in questo c’è anche l’idea di giornalismo che Paolo ha rappresentato, un giornalismo che stava dalla parte degli ultimi e dei penultimi senza urlare, con la sola forza degli argomenti che nascevano dall’ascolto. Perché per raccontare la società, bisogna conoscere e comprendere le lingue che si parlano. Che fossero i bar delle cinque del mattino dove gli operai del primo turno della Fiat consumano il loro caffè o i punti di incontro dei nuovi proletari, lui sapeva ascoltare le voci senza dare nulla per scontato.
Ora che la ruota della storia ha preso a girare in una direzione diversa e le urla sono l’argomento più diffuso, è proprio questo che ci mancherà di più. Anche in nome di Paolo – e come ci ha insegnato quel priore di Barbiana – continueremo allora sporcarci le mani per dare voce a chi non ce l’ha. Che tanto, a tenerle in tasca, non siamo capaci. Questo è il giornalismo. Grazie Paolo.
In foto Paolo Griseri: immagine di Andrea Marcantonio e Federico Tisa
Stefano Tallia, Presidente Ordine dei Giornalisti del Piemonte