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ATTUALITA'

29/05/2023

Leggi di sistema e conflitti di interesse: un tavolo per riscrivere le regole dell’informazione

Di tanto in tanto – in genere a ogni cambio di governo – torna di attualità il dibattito sul controllo del servizio pubblico radiotelevisivo. Un confronto che si consuma nella distrazione sempre più evidente dell’opinione pubblica italiana i cui livelli di partecipazione, va riconosciuto, sono sideralmente lontani da quelli degli anni Novanta quando i dibattiti sul famigerato “conflitto di interessi” riempivano le aule di cinema e università. Un disamore che non è difficile da comprendere se è vero che da allora nulla è mutato e anzi molte cose sono peggiorate nel sistema dell’informazione italiana.

Ora che lo schieramento politico del quale fa parte il principale editore radiotelevisivo italiano è tornato al governo disponendo con questo della possibilità di realizzare un monocolore televisivo a reti unificate, ci rendiamo conto che, nonostante governi di vario colore si siano alternati alla guida del paese, quel conflitto di interessi non è stato risolto. Non solo. Nella carta stampa e nell’editoria radiotelevisiva privata i conflitti di interesse si sono moltiplicati, con piccoli e grandi potentati che, complice la crisi, hanno allungato i loro interessi nel settore.

Problemi che la politica ha osservato con distrazione, come con distrazione osserva i mali che affliggono l’editoria, dalla difficoltà a creare modelli di business sostenibili ai danni creati alla cronaca dalla legge sulla presunzione di innocenza, fino ad arrivare al tema delle querele bavaglio.

Per questo, anche per questo, il dibattito in corso in questi giorni sulla Rai non riesce ad andare oltre il confine della polemica spicciola. Lo schieramento che oggi attacca il governo per le sue scelte, del resto, è lo stesso che con l’ultimo intervento legislativo ha rafforzato il controllo dell’esecutivo sull’azienda pubblica radiotelevisiva e un passaggio autocritico sarebbe quantomeno indice di coerenza.

Certo, dire che le cose sono sempre andate in questo modo, non è buona ragione per non cambiarle e non lo è soprattutto per le migliaia di lavoratori che con serietà mandano avanti da decenni l’azienda nonostante le tormente che investono la Rai a ogni cambio di governo.

Forse sarebbe davvero il caso di creare un tavolo al qual far sedere tutti gli operatori del settore e nel quale affrontare a trecentosessanta gradi l’organizzazione del sistema dell’informazione che rappresenta un bene comune del paese e che merita un dibattito più ampio della polemica di giornata sulle nomine.

Stefano Tallia, Presidente Ordine dei Giornalisti del Piemonte

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