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GIORNALISTI

09/05/2023

Paolo Borrometi: «Il giornalismo deve coniugare innovazione e tradizione»

Un doppio appuntamento nei prossimi giorni vedrà coinvolto Paolo Borrometi in Piemonte: giovedì 11 maggio alle 18 sarà alla Fondazione Polo del ‘900, in collaborazione con la Fondazione Nocentini e l’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, per la presentazione del suo ultimo libro, Traditori. Come fango e depistaggio hanno segnato la storia italiana, appena pubblicato da Solferino. Con l’autore interverranno il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti Carlo Bartoli, la direttrice della Fondazione Nocentini Marcella Filippa, il presidente del Polo del ‘900 Alberto Sinigaglia e il presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte Stefano Tallia. Venerdì 12, invece, Borrometi sarà al Memoriale Cavour di Santena per l’evento Il futuro delle agenzie di stampa nell’incalzare delle tecnologie, dove si parlerà del presente e futuro delle agenzie di stampa nello sviluppo delle reti telematiche.

Paolo Borrometi, nato a Ragusa nel 1983, è attualmente condirettore dell’Agenzia di stampa AGI. Ha iniziato la sua attività in Sicilia, lavorando per il quotidiano Il giornale di Sicilia. Successivamente ha fondato il sito La spia. Aggredito e minacciato dalla mafia è stato costretto a lasciare la sua terra e a vivere sotto scorta. Per il suo impegno di denuncia, ha ricevuto l’onorificenza Motu proprio dal presidente della Repubblica. È presidente di Articolo 21, collabora con Libera e con la Fondazione Caponnetto. L’abbiamo intervistato a partire dal suo impegno professionale e sociale, per passare al racconto del suo libro, che accompagna il lettore in un viaggio nella storia d’Italia, con un reportage giornalistico tra anomalie, depistaggi e buchi neri, per quella che lui stesso definisce «contronarrazione del Paese».

Qualche giorno fa è stato il 3 maggio, data in cui, oltre a lanciare il sito Casa dei Giornalisti si è celebrata la Giornata mondiale della libertà di stampa. Che significato ha oggi, in Italia, questa ricorrenza? Anche e soprattutto a fronte della classifica dedicata alla libertà di stampa dei vari Paesi del mondo, pubblicata qualche giorno fa da Reporter sans frontières (Rsf).

Ha un significato fondamentale perché in questa data mettiamo insieme due aspetti: la memoria e il luogo da cui veniamo. Per comprendere ciò che è stato e ciò che siamo oggi, commemorare i cronisti che non ci sono più è importantissimo. Io per esempio ho iniziato a scrivere grazie a Spampinato, a Impastato. I loro fulgidi esempi mi hanno fatto capire quanto fosse importante il mestiere del giornalismo; importante anche e soprattutto perché nel mondo ci sono colleghi e colleghe che vivono sotto scorta, che hanno processi come me per minacce e perché ci sono strumenti che non sono stati ancora adeguatamente normati. Tutti noi dobbiamo batterci per tutto questo, perché è anche tutto questo che alla fine si ripercuote sulla posizione che ricopre l’Italia in questa classifica.

Per i 170 anni della Stefani (la prima agenzia di stampa italiana e seconda nel mondo, fondata a Torino il 26 gennaio 1853 dal veneziano Guglielmo Stefani per volontà del giornalista Camillo Benso conte di Cavour) l’Ordine dei Giornalisti del Piemonte e la Fondazione Filippo Burzio affronteranno il presente e futuro delle agenzie di stampa nello sviluppo delle reti telematiche. Qual è il presente e futuro delle agenzie stampa?

Il passato è stato glorioso ma noi oggi dobbiamo comprendere quale ruolo abbiano le agenzia di stampa nel presente e quale domani ci aspetta. Io sono convinto che l’informazione primaria quale è quella delle agenzie, sia fondamentale per una ragione: perché oggi noi dibattiamo quotidianamente sul contrasto alle fake news e come si contrastano le fake news se non con informazioni autorevoli e certificate? Le agenzie sono fonti di informazione autorevoli e chi le reputa superate rischia di giocare con il fuoco, perché rischia di non avere più quelle certificazioni che le agenzie forniscono in quanto soggette a un controllo di qualità, che è fondamentale e che ci fa comprendere come appunto l’informazione primaria debba essere non controllata sotto il profilo politico, bensì certificata nelle sua fondamentale azione.

Si parla molto ultimamente – con diversi esperimenti – di intelligenza artificiale legata al giornalismo.

Ho sempre paura quando si accenna al fatto che un giornalista possa essere sostituito da una macchina, ma sono assolutamente convinto che non si possano mettere all’indice le nuove tecnologie. Si deve semmai integrare. Io ho provato a fare una domanda all’intelligenza artificiale – è un’esperienza che può fare chiunque – e vedere che articolo avrebbe scritto su un determinato tema. Il risultato è che ci sono profonde differenze di sensibilità che il giornalista ha e per le quali non può essere sostituito. Partendo da nuove tecnologie dobbiamo cercare perciò di far comprendere quanto importante sia il lavoro del giornalista e quanto non sia possibile la sua sostituzione da parte dell’algoritmo. Noi come agenzia abbiamo collaboratori ovunque: le notizie vanno viste con gli occhi. Andare a vedere è un’altra cosa, molto diversa dall’interrogare una intelligenza artificiale.

Come è cambiato il lavoro in agenzia oggi rispetto al passato?

Il lavoro del giornalista è continuamente in fieri, il giornalista deve sempre coniugare l’innovazione con la tradizione del lavoro. Chiaramente la notizia era tale nell’800 e così è nel 2023, ma sono cambiati e ancora cambieranno i mezzi di comunicazione, la condivisione di una notizia, la velocità di condivisione, che è alla base peraltro del lavoro di agenzia; quello che però non deve mai mancare è la qualità. Noi tutti ci commoviamo quando per esempio vediamo un monologo come quello di Benigni sul’Articolo 21, ma spesso non ci rendiamo conto che l’Articolo 21 non tutela il diritto del giornalista a informare, semmai tutela il diritto del cittadino a essere informato, in modo che esso possa poi scegliere da che parte stare.

A proposito di Articolo 21, come prosegue il lavoro dell’Associazione?

Siamo un’Associazione che parte dai giornalisti ma si estende a professori, magistrati, persone che hanno a cuore l’Articolo 21 nella declinazione di cui accennavo. È un lavoro complicato ma è importante stare accanto a chi informa e a chi tenta di contribuire alla conoscenza, principio fondamentale sul quale non possiamo derogare mai. L’Articolo 21 credo sia uno dei più belli della nostra carta costituzionale, ma il problema è che tanti colleghi e colleghe vengono ancora troppo spesso minacciati nelle periferie di Italia dalle mafie e non solo: da nuove forme di terrorismo, da piccoli potentati, magari anche da minacce declinate sotto querele. Oggi sappiamo che circa l’80% delle querele nei confronti dei giornalisti non arrivano a processo. Cosa significa questo dato? Significa che 8 su 10 non sono fondate su nulla e sono solo una minima parte quelli che vengono condannati. Il lavoro è perciò esposto a rischi sempre maggiori, continui, sempre peggiori, per questo è fondamentale il lavoro dell’Ordine dei Giornalisti, della Federazione Nazionale della Stampa Italiana e di tutti coloro che hanno a cuore la libertà di stampa.

Parliamo di Traditori, un libro che racconta la storia del Paese, del giornalismo, del significato di verità, in un intreccio che – prima di tutto – spiega quanto può essere alto il prezzo di raccontare.

Il libro si snoda dallo sbarco degli americani in Sicilia nel 1943 fino all’arresto di Matteo Messina Denaro. Nel nostro Paese ci sono tante storie “appese”, che sono rimaste senza giustizia e senza verità. Non parlo solo di condanne, che sono ovvie e che mancano, ma addirittura dei fili che legano questi episodi. Su alcune stragi non c’è piena verità, anzi vi è ancora imposto un segreto di stato, cui sono seguite altre stragi e depistaggi. Un giornalista più che domandarsi se gli imputati di un processo siano o meno stati condannati nella cronaca del processo, dovrebbe a mio avviso studiare e raccontare ciò che è accaduto nel nostro Paese; io ho trovato un filo conduttore in tutto questo e credo siano i depistaggi. C’è una verità che vuole essere nascosta a ogni costo. Certe trame invisibili, nonostante sia talvolta trascorso tanto tempo, non sono state messe in campo, non sono state svelate e penso che dobbiamo porci le domande giuste e cercare delle risposte, perché la verità sui fatti del Paese riguarda ognuno di noi, ma soprattutto perché questi fatti sono stati ciclici, si sono ripetuti e c’è un filo che li lega a uno a uno. Io ho provato a metterli a sistema, raccontando una sorta di controstoria del Paese.

Eugenio Giannetta

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