Su Media Diversity, il sito di news del Media Diversity Institute (MDI), istituto che lavora a livello internazionale per incoraggiare un giornalismo accurato su questioni di razza, religione, etnia, classe, età, disabilità, genere e identità sessuale nei panorami dei media di tutto il mondo, Sara Giudice ha scritto un articolo intitolato “How the media can adopt more authentic ways of representing the Lgbtq+ community” in cui affronta il tema della rappresentazione e dell’inclusione nel mondo dell’informazione. Lo fa citando peraltro una recente ricerca della Birmingham City University, scritta da Finbarr Toesland, che ha dimostrato come un numero importante di giornalisti Lgbtq+ nel Regno Unito subisce o ha subito discriminazioni sul posto di lavoro. Secondo il rapporto, «l’86% degli intervistati afferma di aver subito abusi e molestie» e «l’87% degli intervistati non crede che si stia facendo abbastanza per affrontare il problema delle molestie e degli abusi contro i giornalisti Lgbtq+». Del tema rappresentazione avevamo parlato qui a partire da un articolo di Internazionale, intitolato “Redazioni di maschi bianchi e anziani”. Inoltre avevamo approfondito la figura del Diversity Editor intervistando il giornalista Pasquale Quaranta, che ci aveva parlato della nascita di nuove figure professionali per andare incontro alle esigenze del nostro tempo. In questo caso l’obiettivo è quello di una sempre maggiore inclusione, a partire dal linguaggio dell’informazione. Come scrive Sara Giudice nella sua lunga riflessione, «finché non diversificheremo attivamente i nostri bacini culturali, quel lago comune che è l’immaginario televisivo sarà sempre inappagante e incapace di restituire la meravigliosa complessità formata dalle identità che compongono ogni singolo essere umano». E continua: «La non diversificazione e la mancanza di impegno per l’integrazione di sguardi e scritture diverse hanno portato all’errata interpretazione dei fenomeni di identità plurale».